Non sarà un anno bellissimo, purtroppo. E nemmeno ci sarà – come ha detto ieri Giuseppe Conte – «un’accelerazione della crescita nel secondo semestre». Il prossimo Documento di economia e finanza sancirà invece il crollo del Pil di quest’anno da +1 per cento ad un misero 0,1. O meglio, allo 0,2 per cento, il dato «programmatico» che terrà conto dell’impulso dell’ultimo decreto “crescita” del governo. «Il provvedimento darà una spinta, ma bisogna considerare che partirà a metà anno. Gli effetti ci sono, ma non possono essere così forti come ci si potrebbe aspettare», ammette da Bucarest Giovanni Tria. Per giorni il ministro del Tesoro ha resistito alla richiesta di Luigi Di Maio e Matteo Salvini perché l’Italia presentasse all’Europa un testo senza impegni per il futuro, rinviando le decisioni all’autunno. Più o meno quel che la Commissione tollerò l’anno scorso quando a scrivere quel documento era stato però il governo uscente di Paolo Gentiloni. Ha prevalso la linea di Tria per due ragioni. La prima è il sostegno – sempre più forte e sottotraccia – di Sergio Mattarella. Ma ancora più decisiva è stata la seconda: ammettendo fino in fondo un forte rallentamento dell’economia di quest’anno il governo può contare sull’indulgenza della Commissione europea rispetto alla manovra per il 2020. La questione è come sempre un po’ complessa, ma si può riassumere così: con le raccomandazioni del 5 giugno il governo rischia subito dopo le elezioni europee l’apertura della procedura di infrazione per debito eccessivo a causa dello sforamento dei conti per il 2018. Allo stesso tempo può realisticamente sperare non venga chiesto nessuno sforzo aggiuntivo per la prossima manovra. E non si tratta di una concessione politica: è quel che prevedono le regole comunitarie quando un partner entra in recessione o stagnazione. Il Documento dovrebbe infatti indicare un deficit in salita attorno al 2,4 per cento, proprio la soglia vietata da Bruxelles lo scorso gennaio sui conti di quest’anno. Attenzione però: tutto questo non eviterà al governo una pesante manovra. Per cancellare gli aumenti dell’Iva (23 miliardi già previsti per il 2020), finanziare reddito di cittadinanza, anticipi pensionistici e mantenere il deficit entro quella soglia il conto non sarà comunque inferiore ai quaranta miliardi di euro.
Tria, tornato nei panni del garante dei conti anche agli occhi di Bruxelles, ha presentato il piano ai due commissari (uscenti ma tuttora in carica) Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici. I due non hanno formulato grandi obiezioni, a patto che il resto del governo e il Parlamento diano il via libera. «È importante che l’Italia sia come minimo sostanzialmente in linea con il Patto di Stabilità» annuisce Dombrovskis. «Rispetteremo gli obiettivi», dice il ministro. Certo non sarà facile convincere i due dioscuri. Ad esempio la flat tax allargata che ora invoca la Lega. Tria spiega che non sarà nel Documento di economia e finanza: «Si farà all’interno di una riforma fiscale per la manovra di settembre». Sempre che per allora ci sia ancora questo governo.