Il commento più eloquente, forse, al placet finale del Senato al decreto Dignità, è il silenzio luttuoso di Assindustria Venetocentro che, in testa i vertici Massimo Finco e Maria Cristina Piovesana, avevano dato fuoco alle polveri contro il decreto voluto da Luigi Di Maio. Silenzio cui seguono, però, le parole amare della territoriale berica di Confindustria che aveva seguito Padova e Treviso in battaglia.
«Prendiamo atto che le forze che sostengono questo governo non hanno avuto il coraggio di ascoltare la voce delle imprese, – scandisce, amaro, il presidente Luciano Vescovi – le quali si sono espresse in modo unanime sulle criticità del cosiddetto decreto Dignità. C’era stato detto che si sarebbe dovuto attendere il termine dell’iter parlamentare per esprimere giudizi perché le imprese sarebbero state ascoltate e i miglioramenti sarebbero stati fatti. Non possiamo riscontrare, nei fatti, nulla di tutto questo».
Ecco, a bruciare sono le promesse infrante. Degli aggiustamenti sostanziali attesi dalle imprese, infatti, nel cosiddetto decreto Dignità 2.0 annunciato da Di Maio non c’è traccia ad esclusione della reintroduzione dei voucher e poco altro. «Questo provvedimento è sciagurato proprio perché denuncia una mancanza di conoscenza del funzionamento della realtà manifatturiera internazionalizzata europea. Infine, per non farci mancar nulla, – rincara la dose Vescovi – tra questo provvedimento, voci no Tav, no Tap, no Ilva, no tutto, allontanano gli investitori».
La musica è la stessa per Confartigianato: «Abbiamo ascoltato promesse fatte al vento, – chiosa il presidente Agostino Bonomo – perché questo decreto peggiora l’occupazione e premesso che l’occupazione è un diritto, così si ledono i diritti. Norme poco comprensibili e una triste conferma del pregiudizio del governo nei confronti dell’impresa che diventa soggetto da cui difendersi. Sembra una mutazione genetica. Ora raccoglieremo le idee ma a settembre diremo la nostra. Purtroppo, le aziende parleranno con i fatti». La minaccia, neppure troppo velata, è quella del calo occupazionale. Altrettanto duro Alessandro Conte, presidente di Cna Veneto: «Sono state ignorate le preoccupazioni e le richieste espresse dal mondo dell’impresa, soprattutto da quello delle piccole imprese, mentre ci avevano promesso ascolto e attenzione, visto che siamo l’ossatura dell’economia italiana. Questo ci ha profondamente deluso». Nel frattempo, il presidente di Confindustria Veneto, Matteo Zoppas, invita Matteo Salvini (che aveva liquidato gli imprenditori barricaderi dicendo «Saranno al massimo 5») in Veneto per incontrare alcuni imprenditori rappresentativi ed ascoltare le loro ragioni.
A ribadire, dopo il voto compatto dei senatori veneti della Lega al decreto, la credibilità del Carroccio in Veneto ci pensa il sottosegretario all’Agricoltura Franco Manzato: «Non appena ho visto il testo del decreto mi sono catapultato dal ministro Marco Centinaio per fargli presente la necessità di reintrodurre i voucher, soprattutto per agricoltura e turismo e così abbiamo fatto. Abbiamo cercato di migliorare il più possibile il decreto, ad esempio con gli incentivi sui contratti a tempo indeterminato. Ogni intervento può essere criticato ma non si può tenere separato dalla riforma fiscale che stiamo mettendo in atto, la flat tax e tutto ciò che renderà più competitive le aziende». L’aveva già detto l’altro sottosegretario veneto, Massimo Bitonci che dal Mef assicurava: «Un po’ di pazienza, il quadro va visto nel suo complesso». Da Verona arriva la bordata del senatore azzurro Giuseppe Massimo Ferro: «É stato ignorato il 60% del Pil italiano» alludendo al peso delle imprese venete.
Esultano, invece, i parlamentari veneti del Movimento 5 Stelle: «Arriva una prima, forte spallata alla piaga sociale del precariato: una rivoluzione culturale con la quale, da oggi, questo governo inizia a rimettere al centro i lavoratori e i loro diritti». E con loro, albergatori e soprattutto agricoltori che hanno strappato il ritorno del voucher. Voucher concessi sono a strutture ricettive con meno di 8 dipendenti. «Significa che qualcosa come il 90% di imprenditori del settore non potranno utilizzarli – specifica il presidente di Federalberghi, Marco Michielli – ma apprezziamo il lodevole sforzo. I voucher ci consentono di rispondere alle esigenze di un’attività che per sua stessa natura ha dei picchi di attività in alcuni momenti dell’anno, garantendo copertura Inps e Inail ai lavoratori».
La soddisfazione maggiore giunge però dal mondo dell’agricoltura. «Sono aggiornamenti importanti – dice Alberto Bertin, responsabile dell’area Lavoro di Coldiretti Veneto – la possibilità per le organizzazioni intermediarie come la nostra di mettere a disposizione delle aziende un portafoglio di buoni e riducendo così la burocrazia». Critiche sulle modifiche apportate ai voucher giungono invece dalla Cgil, che a livello nazionale si era però espressa favorevolmente sugli altri punti del decreto. «Non c’era l’esigenza normativa di introdurli nuovamente potendo utilizzare altre formule contrattuali» attacca il segretario della Cgil Veneto, Christian Ferrari.