Fra tutti gli Stati europei, quello più vicino all’Italia sul mercato dei titoli pubblici oggi è la Grecia. Da ieri le obbligazioni a dieci anni di Atene rendono appena 63 punti base (0,63%) più degli analoghi titoli italiani. Era da oltre un decennio che gli investitori non trattavano il debito dei due governi come se presentassero rischi così simili fra loro. Nell’ultimo anno la distanza è crollata di circa 160 punti e solo nell’ultimo mese si è ristretta di altri 67. Se la stessa tendenza proseguisse nel prossimo mese e oltre, per ipotesi, l’Italia si troverebbe in una posizione nuova: diventerebbe il governo considerato finanziariamente più debole d’Europa, l’economia schiacciata dai tassi d’interesse più alti. È sufficiente che la deriva dell’ultimo mese prosegua allo stesso ritmo per il prossimo, e quella svolta arriverebbe prima delle elezioni europee. Sarebbe un paradosso. Nel complesso il debito non finanziario dell’Italia — quello totale dello Stato, delle famiglie e delle aziende diverse da banche, assicurazioni o fondi — è più basso della media della zona euro. Viaggia attorno al 250% del prodotto lordo (Pil), molto sotto Olanda, Francia, Irlanda o Spagna. Quasi trenta punti al di sotto del picco di inizio 2015, a testimonianza dello sforzo di milioni di imprenditori e di famiglie per risanare le proprie finanze. Eppure il Paese vacilla sotto il peso degli interessi fra i più alti d’Europa, tra poco forse più di quelli greci, perché lo Stato non ha risanato come hanno fatto i privati. Eurostat, l’ufficio statistico europeo, ha certificato ieri che il debito pubblico l’anno scorso è salito più del previsto, al 132,2% del Pil. Questa ennesima sorpresa potrebbe avere presto conseguenze concrete: in giugno la Commissione Ue farà un riesame basato sul fatto che gli impegni sui saldi del 2018 non sono stati mantenuti. L’anno scorso in maggio il governo uscente di Paolo Gentiloni aveva evitato l’avvio di una procedura sul debito solo grazie alla promessa che sarebbe sceso dello 0,3% il deficit «strutturale». Invece questo disavanzo, stimato al netto delle misure passeggere e delle fluttuazioni dell’economia, è cresciuto soprattutto per un motivo: i tassi d’interesse sui nuovi titoli di Stato sono saliti in fretta da maggio in poi, vista l’incertezza scesa sulle scelte del governo giallo-verde. La sostanza è che ora il sistema di governo europeo torna a guardare l’Italia con sospetto e si va verso una nuova resa dei conti dopo le elezioni europee del 26 maggio. «C’è preoccupazione», ha riconosciuto ieri a Reuters il presidente dell’Eurogruppo Mário Centeno. La tregua firmata a dicembre dal premier Giuseppe Conte a Bruxelles tiene, per ora. Appesa com’è a un filo sempre più esile.