Il debito sale oltre il 133% del prodotto lordo (Pil), anche perché nessuna delle privatizzazioni promesse dal governo si sta realizzando. Il deficit supera di netto la soglia del 3% del Pil, se gli aumenti delle imposte indirette che si vogliono cancellare non saranno sostituiti da altre misure. La crescita resta rasoterra: un soffio sopra quota zero.
Non ci sono buone notizie per l’Italia nelle «previsioni di primavera» che la Commissione presenta stamattina. Non sarà una sorpresa per il governo o gli osservatori, ma è soprattutto nei dettagli che sarà possibile intravedere la posizione del Paese in Europa e sui mercati nei prossimi mesi. Uno di questi è il doppio sorpasso di Madrid. Per la prima volta da un decennio la Spagna, di cui si è sempre detto che cresceva più dell’Italia perché faceva più deficit, avrà un disavanzo minore e un tasso di crescita comunque molto maggiore.
Poi però ci sono gli altri dettagli, quelli tecnici e incomprensibili per i profani del sistema, ma decisivi. La Commissione Ue dirà che il deficit «strutturale» dell’Italia l’anno scorso non è migliorato e quest’anno potrebbe addirittura peggiorare, magari solo di poco. Significa da ora il fianco del governo è scoperto all’avvio di una procedura per deficit eccessivo, basata sul debito, in qualunque momento del 2019. L’Italia, da stamani, è più sotto pressione.
La stima cosiddetta «strutturale» dei conti è infatti il perno dell’intero Patto di stabilità europeo: indica lo stato del bilancio al netto delle misure valide solo per un anno e depurato (in teoria) degli effetti positivi o negativi del ciclo economico. Uno degli ultimi atti del governo di Paolo Gentiloni, un anno fa, fu di evitare una procedura di Bruxelles basata sul debito prendendo un impegno preciso proprio sul deficit «strutturale»: l’Italia promise che nel 2018 lo avrebbe limato dello 0,3% del Pil. Ora però la Commissione Ue dispone dei dati di consuntivo e sa che l’anno scorso la riduzione è stata pari a zero. L’impegno non è stato mantenuto. I conti «strutturali» sono saltati in gran parte perché l’impennata degli interessi sul debito nella seconda metà dell’anno — legata ai dubbi sul futuro dell’Italia nell’euro e poi al bilancio del governo M5S-Lega — ha aggiunto più di tre miliardi al deficit. Ora dunque la Commissione Ue avrebbe gli argomenti legali per poter calare l’Italia nella gabbia di una lunghissima procedura di sorveglianza speciale. Giuridicamente non c’è più niente che possa impedire nel 2019 quella procedura stessa che l’Italia evitò in extremis nel dicembre 2018. Probabile però che per il momento questo diventi solo uno strumento di pressione da parte di Bruxelles, non di azione.
Sul piano politico ed economico la situazione appare infatti più sfumata, per ora. È ormai difficile per esempio trovare un economista davvero indipendente che giudici solida e credibile l’idea — affermata in area euro — di basare sui saldi «strutturali» l’intera sorveglianza di bilancio. Come osservano il capoeconomista dell’Institute for International Finance Robin Brooks, lo storico della crisi Adam Tooze della Columbia University, o il capo-economista di Unicredit Erik Nielsen, i metri di misura adottati da Bruxelles sono in effetti discutibili. Il dato di deficit «strutturale» dipende dalla differenza stimata fra la crescita di ciascun Paese e il suo «potenziale». Ma poiché tale potenziale è in buona parte una proiezione immaginaria nel futuro di ciò che è avvenuto nel passato recente, un Paese che viene da una crisi vede la stima del suo «potenziale» falcidiata. Ciò significa che anche solo un minimo di ripresa lo avvicina appunto ai tetti della crescita «potenziale» e da quel momento il governo, in base alle regole europee, è costretto a ridurre il deficit molto più severamente. Si arriva così ad alcuni paradossi. Il più evidente è che le rispettive distanze di Germania e Italia dal proprio «potenziale» sono simili, nelle stime Commissione Ue, anche se la prima ha una disoccupazione appena sopra al 3% e la seconda sopra al 10%.
A Bruxelles c’è consapevolezza di queste contraddizioni e ciò contribuisce a rendere improbabile una procedura sull’Italia in giugno. Sul piano politico, poi, si vorrà vedere l’esito delle europee e il gioco di alleanze nel parlamento Ue. Tutto concorre dunque a pensare che sarà la nuova Commissione Ue, da insediare a inizio novembre, a prendere in mano il caso italiano. Quali che siano i limiti delle regole Ue infatti il debito sta salendo in modo preoccupante, mentre l’aumento di spesa corrente impresso dal governo blocca l’economia ma fa salire i costi del debito. In tre anni il governo sta spendendo in interessi passivi undici miliardi più del previsto, più di quanto sarebbe stato necessario: una somma pari a una volta e mezza il bilancio dell’intero sistema universitario pubblico, tolto all’istruzione e regalato ai creditori dell’Italia.