Un’escalation «significativa delle tensioni commerciali rischia di far deragliare la ripresa in corso nel commercio e nelle attività globali». L’allarme questa volta viene dalla Banca centrale europea, in un approfondimento del suo Bollettino economico.
L’impatto sul commercio e sulla produzione globale «potrebbe essere rilevante» e uno scenario in cui gli Stati Uniti aumentano notevolmente le tariffe sui beni importati da tutti i partner commerciali, che a loro volta reagiscono contro il Paese, genererebbe «un risultato chiaramente negativo» per l’economia globale. In tale scenario l’impatto potrebbe essere «particolarmente grave» per gli Stati Uniti.
I più penalizzati? Sarebbero gli Stati «con relazioni commerciali più strette con quello che impone dazi» e «solo poche economie aperte con una scarsa esposizione al Paese che impone tariffe potrebbero beneficiare» degli effetti protezionistici. Le conseguenze di un aumento delle tensioni commerciali «potrebbero essere avvertite attraverso una serie di canali». I «prezzi delle importazioni più elevati potrebbero aumentare i costi di produzione delle imprese e ridurre il potere d’acquisto delle famiglie, in particolare i beni nazionali e quelli importati non possono essere facilmente sostituiti gli uni con gli altri».
Secondo Francoforte, «ciò potrebbe influire su consumi, investimenti e occupazione». Inoltre, «un’escalation delle tensioni commerciali alimenterebbe l’incertezza economica, portando i consumatori a ritardare la spesa e le imprese a rinviare gli investimenti». L’incertezza potrebbe, infine, «estendersi più in generale, aumentando la volatilità dei mercati finanziari globali».