La visita di Conte può aprire una nuova stagione d’intesa fra Roma e Washington? Le affinità ideologiche sono molte, per la verità soprattutto fra Trump e Salvini: dall’immigrazione alla simpatia per Putin, l’elenco è sostanzioso. L’inizio di un disgelo Usa-Ue sui dazi, accennato nel recente “armistizio” Trump-Juncker, è di buon auspicio. L’esperienza insegna però a non investire aspettative sulla generosità di Trump verso gli altri sovranisti- populisti. Rimase delusa Theresa May che subito dopo l’elezione di Trump si precipitò per prima alla Casa Bianca sperando di costruirsi un rapporto privilegiato, e da allora è stata oggetto di sgarbi molteplici. Altri da Macron a Xi Jinping hanno lusingato l’amor proprio di Trump, hanno conquistato in apparenza un buon rapporto personale, che non si è mai tradotto in vantaggi politici concreti. Trump può rivelarsi un “amico” pericoloso, capriccioso e volubile, regala vistose manifestazioni di simpatia e di stima verso i suoi ospiti, poi vara misure concrete che danneggiano il partner straniero.
Ricordare questi precedenti, e le priorità di Trump ( tutte rivolte alla sua base elettorale) è un’utile guida per decifrare l’incontro di oggi. Che cosa vuole il presidente americano dall’Italia? Nato, Ue, Russia, energia, commercio: i dossier più importanti per Trump sono questi. Agli alleati atlantici ha rivolto quasi un ultimatum, l’ 11 luglio al vertice di Bruxelles: devono rispettare l’impegno di spesa pari al 2% del Pil per la difesa comune; meglio ancora se puntano al raddoppio col 4% di Pil destinato al budget militare. L’Italia è molto lontana dal primo obiettivo, figura tra i reprobi nella lista stilata da Casa Bianca e Pentagono. Il secondo obiettivo caldeggiato da Trump ( 4% di Pil) comporterebbe un pesante dirottamento di risorse pubbliche verso il riarmo, impopolare tra gli italiani a prescindere dal loro colore politico. Sull’Unione europea, Trump simpatizza con Brexit ( versione dura alla Boris Johnson) e incoraggia chiunque aumenti il tasso di litigiosità- disgregazione interna. Ben venga dunque un’Italia che prende le distanze dal nucleo duro franco- tedesco e flirta con quelli di Visegrad.
Ma al di là delle convergenze ideologiche su temi come l’immigrazione, Trump guarda all’interesse concreto della sua constituency più fedele: la classe operaia del Midwest. Vuole pareggiare i conti commerciali, e qui ce l’ha per lo più con la Germania che accumula avanzi enormi. L’auto tedesca è il suo problema numero uno, questo significa che nel mirino c’è anche tanto indotto italiano, componenti fabbricate in Piemonte e Lombardia, Emilia e Triveneto, che finiscono in America dentro le auto made in Germany. La “ quasi pace” annunciata con il presidente della Commissione Juncker, congela i dazi sull’auto e punta a una riduzione generalizzata delle barriere commerciali: ma lo stile trumpiano può improvvisamente rilanciare le minacce se la bilancia Usa- Ue ( Usa- Germania) non registra miglioramenti tangibili. Subito dopo l’incontro con Juncker, Trump è andato a promettere agli agricoltori del Midwest nuovi sbocchi per soia e cereali in Europa. Bruxelles però non conferma. Trump ci indica da tempo un’altra via maestra per bilanciare il commercio: comprare più energia dagli Usa ( gas liquido) riducendo la nostra dipendenza dalla Russia, dal Medio Oriente e dal Nordafrica. Con una certa dose d’incoerenza, lui stesso vuole un miglioramento dei rapporti con la Russia. Qui il governo italiano trova una sponda favorevole a riaprire il discorso sulle sanzioni da allentare. Su questo fra Trump e Conte era già cominciato un duetto all’ultimo G7 in Canada, su una politica filo- russa.
Altre aspettative su un abbraccio Usa-Italia sono anacronistiche, non tengono conto che le regole della politica estera sono stravolte nell’èra dei populismi. Alcide De Gasperi inaugurò l’epoca in cui i presidenti del Consiglio italiani andavano a Washington per accreditarsi presso la superpotenza amica, acquisire legittimità, aiuti concreti ( Piano Marshall). All’epoca della guerra fredda la mancanza di quel sostegno formale poteva essere un ostacolo insormontabile ( il Fattore K del Pci). Da allora fu una costante della nostra politica il pellegrinaggio a Washington, ed è rimasta tale fino a Barack Obama: il cui prestigio in campo progressista era un capitale politico prezioso, che Renzi da ultimo cercò di usare per la propria immagine in Italia. Il paradosso dell’era Trump, a parte l’imprevedibilità del personaggio, è che l’idea di una Internazionale sovranista con lui come leader è una contraddizione interna, un ossimoro. Quando si entra nel merito delle agende politiche, il principio base dei leader sovranisti è il ciascuno per sé, difficile da conciliare con progetti di alleanze, coalizioni durevoli, in campo internazionale. Conte non dovrà farsi illusioni sul significato delle cordialità di oggi.