«Me l’hanno detto molte volte. I morti senza nome sono una causa persa». Cristina Cattaneo è seduta nel suo ufficio all’Istituto di medicina legale. Un teschio, pile di libri, rapporti e fascicoli, un caos disordinato la circonda. Da pochi giorni ha presentato i risultati di uno studio commissionato dalla Diocesi della città lombarda, un cold case per il quale insieme al suo team ha trascorso l’estate nella cripta della basilica di Sant’Ambrogio e grazie al quale, oltre a confermare l’appartenenza delle ossa del patrono di Milano, ha ricostruito la storia di Protasio e Gervasio, due soldati che, secondo la leggenda, vennero torturati e uccisi per aver difeso la loro fede cristiana. «Ora sappiamo che Gervaso e Protasio morirono di morte violenta, uno addirittura per decapitazione. E che erano due fratelli, forse gemelli, come tramanda la tradizione», racconta.
Cinquantaquattro anni, originaria di Casale Monferrato e un curriculum lungo pagine, Cattaneo oggi è docente di Medicina legale all’Università di Milano e dirige il LabAnOf, il laboratorio di antropologia e odontologia forense. «Sono entrata in specializzazione nel 1995, all’inizio studiavo per lo più i resti umani in ambito antico. Poi con il passare del tempo mi sono resa conto che il mio lavoro può servire a fare giustizia». Yara, Elisa Klaps, le donne vittime di femminicidio, il lavoro che ancora continua al centro medico specialistico di assistenza per i problemi della violenza alle donne e ai minori fondato e diretto da Alessandra Kustermann. Incastrare un colpevole grazie alle tracce lasciate nella violenza, serve anche a questo la medicina legale, «a trattare gli abusi come una vera e propria patologia che possiamo curare».
Poi per Cattaneo inizia una nuova missione, raccontata anche nel suo ultimo libro Naufraghi senza volto uscito per Cortina. «Abbiamo creato un gruppo di lavoro, coordinato dall’Ufficio del commissario straordinario per le Persone scomparse, per l’identificazione dei morti nel naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e del 18 aprile 2015». Dare un nome a quei corpi finiti in fondo al mare, alle porte dell’Europa, nel tentativo di scavalcare un muro fatto di onde e torture non è solo un atto di civiltà.
«Quando c’è un disastro aereo, come quello di Linate del 2001, giustamente lavoriamo per dare la possibilità a chi è rimasto di piangere su un corpo. E allora perché non dovremmo farlo anche per i migranti morti nel Mediterraneo?». Cattaneo, aiutata dal suo team, lotta contro i fondi che sono pochi, contro la difficoltà di mettersi in contatto con i parenti delle vittime, contro i database che non si parlano tra di loro e va avanti anche quando gli altri non ci credono. E, passo dopo passo, si avvicina all’identificazione. «Non è solo una questione di memoria o del diritto sacrosanto ad avere un nome anche nella morte. Identificare significa anche tutelare i vivi, basti pensare al ricongiungimento familiare dei minori rimasti orfani».
Il tempo scorre veloce in mezzo alle ossa del LabAnOf. «Non mi pesa questo lavoro, è parte fondamentale della mia vita e di quello che sono. L’unica cosa che mi costa fatica è scrivere le relazioni». Oltre all’attività medica, c’è anche quella di insegnamento, con tante ragazze che si avvicinano a una professione considerata fino a poco tempo fa esclusiva maschile.«Vedo tante studentesse pronte, capaci. E questo dà speranza, perché vuol dire che i cambiamenti, anche a piccoli passi, poi arrivano». Gli antenati, i dimenticati, le donne e i bambini, i migranti che vengono da lontano. Nella morte siamo davvero tutti uguali? Cattaneo si è letteralmente immersa tra i «suoi» cadaveri.
E a chi le chiede «perché non lasci perdere?» risponde a testa alta. «Non dimenticherò mai il corpo di un ragazzo del Gambia. Aveva cinque documenti in tasca, tra cui la tessera di una biblioteca, e il tesserino da donatore di sangue. Allora perché la sua vita deve valere meno di un’altra?».
*La Ventisettesima Ora, Corriere della Sera, 21 dicembre 2018
Riportiamo una video-intervista di Freeda a Cristina Cattaneo
Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo
di Cristina Cattaneo
Raffaello Cortina Editore
198 pagg., 14 euro