Immaginate una multinazionale da circa 18 miliardi di euro di fatturato e 32.690 dipendenti, ramificata su tutto il territorio lungo la spina dorsale del sistema manifatturiero italiano. Esiste per davvero e potremmo chiamarla, in sintesi, Cina Spa: è il giro d’affari delle imprese italiane partecipate da gruppi cinesi (inclusi i gruppi di Hong Kong); a fine 2017 la banca dati Reprint dell’Università di Brescia ne ha censite 641, pari all’89,8% del totale delle realtà a controllo straniero.
Cina Spa è cresciuta in fretta, c’è stato un momento in cui gli imprenditori cinesi sembravano formiche impazzite, pronte a lanciarsi negli acquisti più disparati, specie delle Pmi del manifatturiero messe nell’angolo dalla crisi. Al netto dell’acquisizione di Pirelli e di Syngenta da parte di ChemChina nonché della tedesca Kuka da parte di Midea che, due anni fa, ha comprato la Clivet di Feltre (e i suoi 500 addetti), Cina spa è fatta di piccole e medie imprese.
Gli autori di questo shopping a tutto campo erano (e sono) interessati ad acquisire specifiche tecnologie ma, per farlo, hanno dovuto farsi carico di tutto il resto, a partire dai posti di lavoro a rischio e dalla complessa gestione dei rapporti con le realtà locali. Una prova durissima, questi imprenditori cinesi che stanno imparando a confrontarsi con culture aziendali e sindacali diversissime da quelle di casa propria.
Il quadro sta cambiando rapidamente. La Cina della Nuova Era di Xi Jinping punterà a un Go Global tarato sui reali bisogni di Pechino, ovunque, nel mondo, si punterà sulla qualità. «Sia chiaro, non c’è un riflusso né un processo di disinvestimento in atto – assicura il professor Marco Mutinelli, creatore di Reprint – il manifatturiero, in termini occupazionali, predomina e con 18.753 dipendenti in 125 imprese partecipate, pesa per quasi i tre quarti del totale. Ma è probabile che la qualità cambi ulteriormente».
A fine febbraio una delegazione in Italia di Cic, China investment corporation, il Fondo sovrano cinese, ha voluto visitare anche due realtà acquisite da cinesi, anche per capire che margini ci sono per mosse future. Un segnale preciso, su un fronte nel quale resta cruciale la leva finanziaria. Il direttore di Bank of China, Jiang Xu, presidente dell’associazione delle aziende cinesi in Italia, dice al Sole 24 Ore: «Faremo la nostra parte», sottolineando l’impegno dell’istituto.
C’è un po’ di tutto, oggi, nella mappa di Cina spa, dalla Ladurner di Bolzano, specializzata in trattamento rifiuti acquisita e poi rivenduta da Zoomilion a un’altra società cinese, alle acquisizioni come quella di Rykadan Capital che ha rilevato il gruppo veronese del marmo Quarella, in difficoltà. C’è la Pmt di Torino, Edward Yang general manager di CTR Robotics Hunan, ribadisce: «L’Hunan è forte nel sistema della produzione di auto, Pmt ci ha dato qualcosa che prima non avevamo». O la Isi, acquisita da Gf Welding, pinze per robot, sempre nella cintura torinese, praticamente fallita, a secco di ordini. Li Guisheng, ceo di Isi-GF, forte degli investimenti del Governo nella robotica, ha creato una filiale Isi a Wuhan, «una scommessa – dice -, su una situazione non facile da comprendere e gestire, specie dal punto di vista dei rapporti sindacali». Simile l’esperienza che racconta Wang Hong, la sua business card raggruppa, a fatica, ben tre diverse realtà nelle quali ha investito – Rifa a Milano, Mcm di Piacenza e Colgar: «Nessuna di loro – dice – è uguale all’altra, sono lo specchio della complessa realtà italiana».
«Di fatto – puntualizza il console commerciale Li Shaofeng – queste operazioni hanno svolto un ruolo cuscinetto, con moltissimi posti di lavoro in ballo messi in sicurezza. Cosa non facile da realizzare».
Conferma Zhu Zhenmin, ceo di Genertec Italia (China general technology group, ex Temax) con un’esperienza ventennale sul fronte M&A – ultimo arrivo la Blue Engineering di Rivoli specializzata nella progettazione e ingegnerizzazione di veicoli nel settore ferroviario: «La sensibilità degli imprenditori cinesi, con il tempo, in effetti, è molto migliorata». Anche Alessandro Canese, ad di Tuvia, società di logistica passata un anno fa alla cinese Kerry, traccia un bilancio positivo: «Abbiamo conferito la nostra inventiva e flessibilità a una società con un’operatività molto ramificata, e il nostro fatturato è già migliorato».
A guardare meglio, infine, la metà delle realtà cinesi sono imprese create ex novo dall’investitore, in partnership con soci italiani, mentre si creano poli specializzati, come in Piemonte, dopo i deal di Baosteel (Emarc), PowerChina Northwest Engineering (Geodata) e CRRC (CMC).
«La Cina è ben disposta a lavorare con l’Italia – assicura al Sole 24 Ore l’ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Italia, Liu Ruiyu -, noi vogliamo che i due Governi valorizzino la complementarietà delle realtà economiche dei due Paesi incoraggiando investimenti reciproci e la gestione delle aziende locali. Spero che gli amici imprenditori italiani prestino attenzione al Forum internazionale economico di Boao del 9 aprile e alla prima edizione della China international import expo a Shanghai rafforzando la cooperazione».