Lasciamo agli statistici la discussione se e quando saremo costretti a decretare «la recessione tecnica» e concentriamoci invece sulla sostanza ovvero sul rischio che il 2019 si riveli un anno nero per l’industria made in Italy. I fattori che concorrono a formulare questo presagio sono molti, e parecchi hanno natura esogena, ma il risultato può essere proprio quello di cui sopra. E a poco vale ricordare come anche gli altri Paesi industriali sono alle prese con gli stessi problemi perché, come commenta Andrea Montanino, direttore del Centro Studi Confindustria, «in un contesto di rallentamento generalizzato ogni sistema cercherà di proteggersi il più possibile e per i gruppi italiani impegnati in programmi di espansione o di riorganizzazione ne deriveranno comunque delle difficoltà». Per diversi dei nostri campioni nazionali il 2019 sarebbe stato comunque un anno-chiave.
Partiamo dalla Fca del dopo-Marchionne che dovrà fare i conti con un mercato dell’auto che non darà più le soddisfazioni degli ultimi anni e per di più è alle prese con feroci guerre commerciali, modifiche normative in singoli Paesi e un avanzamento tecnologico la cui tempistica non è chiara quantomeno per la mole degli investimenti che richiede. L’anno appena iniziato è decisivo anche per le prospettive del merger Luxottica-Essilor che ha portato alla nascita di un gigante mondiale dell’ottica integrato verticalmente. E’ in discussione tra i due gruppi l’assetto finale della governance e ci sono, non è un mistero, idee diverse. Nei giorni scorsi i giornali francesi hanno scritto di una fusione incominciata su «cattive basi» paventando «una presa di controllo» da parte del gruppo Del Vecchio. Le prossime settimane saranno decisive sperando che l’inasprirsi delle relazioni italo-francesi resti — come finora — fuori dal campo di gioco.
Lo scacchiere italo-francese è strategico anche per le ambizioni della Fincantieri che dopo tanto penare pareva aver incamerato l’acquisizione dei cantieri di Saint-Nazaire e invece si è vista imporre uno stop dall’antitrust europeo proprio per effetto delle lagnanze di tedeschi e francesi. Se dai campioni nazionali passiamo ad analizzare i principali settori (auto, mattone e cibo) le ombre si allungano. L’incertezza che avvolge l’automotive riporta al legame tra la nostra industria delle componenti e i marchi tedeschi. Produciamo beni intermedi che concorrono al loro export e di conseguenza se le grandi catene del valore si inceppano ne subiamo le conseguenze. Il settore delle costruzioni e delle grandi opere risente invece del clima politico che si è creato in Italia e delle contrapposizioni attorno non solo alla Tav ma anche alle opere minori. I rischi che tutto ciò comporta non solo sulle nostre aziende di eccellenza ma anche sulle Pmi del mattone sono evidenti e non è un caso che nella prima uscita del 2019 il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia abbia centrato il tema «cantieri da aprire».
La produzione alimentare non è andata male a fine ‘18 e il neo-presidente della Federalimentare Ivano Vacondio ha ricordato «la forza trainante» del settore ma se guardiamo al 2019 non ci sono certezze. Il mercato interno si presenta fermo e si può solo sperare che le prime erogazioni del reddito di cittadinanza, destinato alle fasce più deboli della società, prendano poi la strada dei consumi alimentari. Altrimenti per crescere serve un’ulteriore crescita delle esportazioni che però dovranno fare i conti con i problemi di rallentamento dell’economia mondiale che ben sappiamo e che potrebbero penalizzare il made in Italy.