«Incassare risorse e difendere gli interessi dei cittadini». Dal governo sintetizzano così l’obiettivo della revisione delle concessioni pubbliche avviata dopo il disastro di Genova. Un’impresa ambiziosa – quelle attive sono 35mila, i soli contratti prossimi a scadenza valgono 1,4 miliardi di canoni annui – e nient’affatto nuova. Il Programma nazionale di riforma contenuto nel Def 2017 del governo Gentiloni lanciava la riforma delle concessioni proprio con il target di «valorizzare le entrate per la Finanza pubblica e la concorrenza». Ma il piano è rimasto lettera morta.
Sopravvive la premessa, identica nonostante il cambio di maggioranza: la convinzione di un rapporto squilibrato tra i canoni e i profitti, a vantaggio dei privati. Il progetto dell’esecutivo Conte è alle battute iniziali: non ce n’è traccia nel contratto di governo, è andato prendendo forma dopo il crollo del ponte Morandi. Con una sorta di cabina di regìa a Palazzo Chigi, in prima linea i sottosegretari Giancarlo Giorgetti (Lega) e Stefano Buffagni (M5S), affiancati dai ministeri coinvolti, in primis Infrastrutture, Mise e Mef. Imprescindibile il confronto con regioni ed enti locali.
Sulla scia del percorso già avviato su strade, dighe e impianti idroelettrici, si parte da una «ricognizione» delle concessioni in scadenza o scadute nei settori indicati da Giorgetti: acque minerali, “sorvegliate speciali”, idrocarburi, frequenze per tv e telefonia. Nessun riferimento a spiagge né ambulanti, che insieme valgono 850 milioni (750 per i comuni) di quegli 1,4 miliardi. Non è un caso. Il governo ha deciso di accantonare i dossier, complice la storica sensibilità della Lega alle ragioni dei balneari e del M5S a quelle degli ambulanti, messe in pericolo dalla Bolkestein. Qui il contratto di governo è chiaro: «Ci impegneremo nel superamento degli effetti pregiudizievoli per gli interessi nazionali derivanti dalla direttiva Bolkestein».
Sugli altri ambiti invece l’esecutivo vuole andare avanti. Finita la ricognizione, deciderà caso per caso: dall’aggiornamento di canoni e condizioni al non rinnovo a scadenza. Senza escludere il rientro del pubblico quando ci siano competenze e strutture. Vale per le dighe in Valtellina, indicate da Giorgetti, come per le autostrade. Sempre che le vedute di M5S e Lega coincidano. In linea teorica, allora, il governo potrebbe mettere le mani in un universo variegato. Perché le concessioni sono utilizzate sia a livello statale che locale. E perché coinvolgono, con una strumentazione simile, comparti con assetti totalmente differenziati: gestori di grandi infrastrutture come autostrade e aeroporti, terminalisti portuali che operano con passeggeri o merci, mercati comunali per gli ambulanti, concessioni nel settore delle dighe e in quello di energia, acqua e rifiuti ma anche sale bingo, slot e scommesse.
Le autostrade
A parte il caso di Autostrade per l’Italia, per la quale il Mit ha avviato la procedura di decadenza, nel settore gli effetti della nuova politica del Governo resteranno poco percepibili ancora per anni: non di rado, la scadenza delle concessioni è tanto lontana da non far escludere che nel frattempo le regole saranno ulteriormente cambiate. Per esempio, la concessione della Sitaf (Torino-Bardonecchia) scade a fine 2050, quella della Sat (Livorno-Civitavecchia, incompleta) nel 2046, quella della Aspi nel 2042 (almeno in teoria) e quella della Tangenziale di Napoli nel 2037. Ma a quel punto le novità saranno doppie: le nuove concessioni rientreranno sotto la competenza dell’Autorità di regolazione dei trasporti, facendo terminare l’anomalia creata già dalla legge che nel 2011 istituì l’authority sottraendole le concessioni in essere. Nel frattempo, si stringe sulla vigilanza ministeriale (ammesso che le strutture del Mit reggano): il premier Conte ha annunciato che a settembre i concessionari saranno convocati per portare un «programma dettagliato degli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione».
Le tlc
Nel settore tlc il regime concessorio è in generale stato superato con le liberalizzazioni. Si opera in base a licenze e autorizzazione generale in base all’articolo 25 del Codice di comunicazione elettronica. E non si tratta di un numero chiuso. La polpa però sta nell’assegnazione delle frequenze, le “risorse scarse”. I cui diritti d’uso sono passati e passano attraverso aste, come accadrà per le frequenze per il 5G a settembre. In questo caso le varie bande di frequenze alle telco sono assegnate attraverso 55 lotti (la sola asta del 2011 per i lotti Lte a 800, 1.800 e 2.600 Mhz ha portato all’incasso di 4 miliardi), ora nelle disponibilità di quattro soggetti: Tim, Vodafone, Wind Tre e Iliad. Sempre in ambito tlc, di concessione si può parlare per la rete Infratel nelle “aree bianche”, data in concessione ventennale a Open Fiber. In ambito televisivo, oltre al servizio pubblico (convenzione con contratto di servizio) c’è sempre il tema frequenze. I multiplex in Italia sono 20 con diritti d’uso assegnati a Rai; Elettronica Industriale; Persidera; CairoCommunication; Prima TV; 3lettronica; Premiata Ditta Borghini Stocchetti; Europa Way. La disponibilità è fino al 2032. C’è poi tutto l’ambito delle tv locali. L’ultima analisi di Aeranti Corallo indica 588 mux locali.
Le spiagge
Il capitolo delle spiagge, che secondo i numeri del Mef assicura ogni anno canoni per oltre 100 milioni di euro, potrebbe seguire una logica autonoma. Qui pesa da anni la questione dell’allineamento alla direttiva Bolkestein che prevede l’apertura alle gare, tra le altre, proprio delle concessioni balneari: il settore andrà riformato entro la fine del 2020. E l’obiettivo dell’esecutivo è quello di trovare una formula che consenta di tutelare la posizione dei concessionari uscenti. Anche se questo non pare compatibile con le norme europee.