l «libero mercante» può essere il personaggio adatto per dare corpo all’istinto ideologico di due valenti studiosi, Angelo Miglietta e Alberto Mingardi, che hanno pubblicato un pregevole libro «Dal sesterzio al bitcoin» per esprimere il loro pensiero liberale in politica e libertario in economia.
Parlarne non è facile, né forse prudente. Ma per un giorno lasciamo correre la fantasia. Viviamo in un mondo che è in grado di dare grandi consolazioni al Professor Hayek, capo riconosciuto di quella scuola austriaca che non è stata perciò tristemente travolta dai fatti, come invece le male lingue continuano a ripetere. Noi, liberi mercanti, possiamo oggi scegliere la moneta che più ci conviene per regolare le nostre transazioni e per investire i nostri capitali. Si badi bene, non è una moneta come l’euro e come il dollaro o come altre, espressioni di uno standard monetario, emesse da una banca centrale come propria moneta fiduciaria. Noi abbiamo una grande preoccupazione, quella di difendere la possibilità di non essere subdolamente impoveriti. Ricerchiamo qualcosa che ci difenda dall’erosione monetaria e dall’inflazione.
Sappiamo che il dollaro, la moneta regina accettata in tutto il mondo, strumento principale di riserva internazionale, dal 1913, anno di fondazione della Federal Reserve, ad oggi ha perso circa il 95% del suo valore. D’accordo, ci sono state due guerre, e poi il 1929 e poi il Vietnam. Però quella percentuale fa impressione. Non parliamo poi delle altre monete!
Questo è il cruccio del libero mercante che però ha la fortuna, da oggi, di vivere in un mondo diverso e nuovo. Non ci sono più né banche centrali, né monete fiduciarie presidiate dal corso legale che talora si ammala e diventa corso forzoso. No, oggi noi mercanti possiamo scegliere la banca commerciale che ci dà maggiore affidamento, aprire un conto denominato nella moneta emessa dalla banca medesima che ha un capitale solido, commisurato alla dimensione dei suoi attivi a valori di mercato, il cui rischio non può ponderare grazie all’abilità delle sue strutture interne, e una riserva frazionaria in oro digitale.
La nostra banca regola la stabilità della sua moneta legandola a un paniere espressivo dei prezzi correnti e garantisce la convertibilità della medesima in oro virtuale a nostra richiesta. Essa evidentemente, reputa, insieme a tutti gli altri, che la scarsità digitale sia tecnicamente certa e dimostrabile.
Questo nella storia passata si è già visto. Ci sono già state esperienze di free banking nell’adolescenza della finanza e tali e tanti furono i disastri che, crac dopo crac, sono nati e si sono formati per dare un po’ di respiro e di ordine le regolazioni pubbliche e i sistemi di «Central Banking».
Ma ci vuole altro per smuovere le convinzioni del libero mercante. Non si possono dimenticare i cento anni di stabilità del cambio aureo della sterlina nell’epoca del trionfo della borghesia e degli Imperi così come si deve considerare che, nel secondo dopoguerra, il dollaro è rimasto stabile dai tempi di Bretton Woods fino al 1971. Nei due casi il ballo delle monete è iniziato con l’abbandono del legame all’oro. Si sono verificati gli effetti di quella parentela tra chi emette moneta e chi governa che hanno caratterizzato quasi sempre i tempi della moneta fiduciaria.
Ma oggi possiamo tornare al meglio dell’antico con l’ausilio che i nuovi mercati creati dalla rivoluzione digitale ci offrono. Certamente, bisogna essere disposti a considerarli con attenzione, adeguando la propria mentalità a paradigmi piuttosto rivoluzionari, Si tratta certamente di pensieri avanzati con deliberato e razionale intento provocatorio. Come ci spiegano bene i diversi autori raccolti nel volume, circola intorno a noi una sorta di pensiero unico che ormai non giova neppure ai suoi sostenitori. L’ortodossia contemporanea in materia monetaria e bancaria si esprime quasi come un’ultima fede religiosa nella quale il dogma si trasfigura nella certezza laica di un Inondo senza alternative.
Non fa male quindi anche qualche ragionamento eversivo. Viviamo galleggiando su un mare di debito. I due paesi guida dell’economia mondiale, Stati Uniti e Cina, sostengono un debito totale tre volte più grande del loro prodotto. Gli americani lo finanziano piazzandolo ovunque, grazie alla forza sovrana della loro moneta, e in contropartita del loro disavanzo commerciale. 1 cinesi lo mantengono grazie alla ferrea disciplina sociale interna e al largo surplus commerciale. Le banche centrali realizzano un buon coordinamento tra di loro e iniettano nel sistema enormi masse di liquidità. Hanno evitato la ripetizione degli anni 30, hanno tamponato la situazione e buttato in là il necessario, ma faticoso riequilibrio. Non si vede ancora però la terraferma e anzi qualcuno dice che non esiste e che comunque se ne potrebbe anche fare a meno. Non c’è quindi da stare allegri. Ecco perché ogni stimolo alla discussione non convenzionale, come amano sempre fare nel loro lavoro Miglietta e Mingardi, è benvenuto.
*L’Economia del Corriere della Sera, 24 febbraio 2020