È accaduto talmente tanto nel frattempo, che i ricordi degli scontri di Matteo Renzi a Bruxelles sui costi dell’immigrazione sembrano di un altro secolo. Era invece appena due anni fa quando il premier di allora dava battaglia per ottenere una valutazione indulgente sui fondi in deficit spesi per accogliere i migranti. Il leader del Pd aveva qualche argomento dalla sua parte, perché i costi dell’accoglienza sono cresciuti da poco più di trecento milioni di euro nel 2011 a quasi tre miliardi nel 2017.
Eppure oggi sembra un’altra epoca, a causa di un giorno in particolare: il 16 luglio del 2017. Quel giorno le prime pagine dei giornali italiani parlavano del macchinista del metrò di Roma che aveva procurato un incidente mangiando alla guida, dei dati della ripresa e, sì, della rivolta degli abitanti di Messina per i continui arrivi di richiedenti asilo. Accade però qualcosa di importante di cui nessuno al momento si rese conto. Da quel giorno gli sbarchi rallentano improvvisamente e da allora non sarebbero più tornati al ritmo di circa 150 mila all’anno del periodo fra il 2014 e il 2016. Paolo Gentiloni e Marco Minniti, allora rispettivamente presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, non spiegheranno mai esattamente perché gli sbarchi da quel giorno e fino a questa estate crollano di circa il 78% rispetto ai periodi corrispondenti dell’anno precedente.
Ma adesso tre ricercatori, Matteo Villa, Valeria Emmi e Elena Corradi, presentano in un rapporto dell’Ispi di Milano e di Cesvi, l’onlus laica e indipendente di Bergamo, le conseguenze di quel 16 luglio 2017 e le opportunità che esso presenta. Il loro lavoro è una lettera scarlatta, qualcosa che sarebbe stato visibile a tutti se solo si fosse guardato con occhi attenti. Solo gli autori del rapporto però lo sottolineano. In base a una rigorosa analisi dei dati, Villa, Emmi e Corradi mostrano che se da quel giorno non si fosse verificato quell’improvviso calo delle partenze, in Italia sarebbero già arrivati 140 mila richiedenti asilo in più.
Questa volta ha dunque conseguenze economiche precise, dato che i tre calcolano un costo medio dell’accoglienza attorno ai 35,9 euro al giorno:l’«argent de poche» da 1,50 a tre euro al giorno agli stranieri, oltre alla fornitura di beni e servizi da parte di italiani. Rispetto a quanto previsto nei bilanci ai tempi in cui Renzi protestava a Bruxelles, si è dunque aperta una possibilità di risparmio. Il rapporto di Ispi e Cesvi lo quantifica in un miliardo il primo anno e circa 1,9 miliardi a regime, una sorpresa positiva.
Il lavoro di Villa, Emmi e Corradi non è però di pura contabilità, perché contiene una proposta sull’utilizzo delle risorse che si sono così liberate:vanno reinvestite nell’integrazione di coloro che sono arrivati e hanno richiesto o ottenuto l’asilo – propongono i tre ricercatori – perché ciò sarebbe nell’interesse non solo degli stranieri ma anche del Paese che li accoglie. Il rapporto di Cesvi e Ispi dimostra infatti, sempre con una rigorosa analisi, come gli stranieri che riescono a integrarsi e a trovare lavoro compensano attraverso le tasse il denaro speso per loro e poi versano ben di più. Sostengono l’economia generando domanda e dunque più posti di lavoro. E cadono in violazioni della legge più o meno tanto quanto i nativi di un dato Paese.