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La necessità di un nuovo modello di sviluppo è un tema molto attuale, ma tutt’altro che recente. I primi movimenti di pensiero e le prime pubblicazioni su questi temi risalgono a quasi mezzo secolo fa, quando il vigore economico che aveva caratterizzato gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento si è trovato a fare i conti con la crisi petrolifera degli anni Settanta e, insieme a essa, con la presa di coscienza della scarsità delle risorse. Nel 1972 il rapporto sui limiti dello sviluppo The Limits to Growth, commissionato al MIT dal Club di Roma, preannunciava uno scenario preoccupante: se la popolazione, l’inquinamento, il consumo di risorse non rinnovabili, la produzione agricola e industriale avessero continuato ad aumentare, in un momento indeterminato entro il 2100 il pianeta avrebbe raggiunto il limite della crescita e iniziato il proprio declino.
In quegli anni il progresso illimitato, il concetto di crescita esponenziale ma soprattutto gli elementi essenziali delle teorie economiche neoclassiche cominciavano a essere messi seriamente in discussione. L’economia meccanicistica doveva essere ripensata incorporando nelle scienze economiche la biologia, la fisica e il concetto di limite. Stavano per essere riscritte completamente le fondamenta epistemologiche dell’economia lineare; alla base delle teorizzazioni ricorreva l’idea che nessuna scienza umana potesse prescindere dall’inesorabilità della natura, e che l’umanità per sopravvivere dovesse adattarsi ai limiti biofisici della Terra. Anche Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma, che intendeva mostrare la natura e la profondità delle crisi che minacciavano la sopravvivenza dell’uomo, parlava della necessità di ricostruire un rapporto sano e armonico con la natura, di affrontare la questione dell’incremento demografico, di fare i conti con i problemi legati alle risorse energetiche e di mettere fine ai conflitti che distruggono interi popoli ed ecosistemi.
Sul piano internazionale, la riconciliazione tra uomo e natura viene menzionata per la prima volta nel corso della United Nations Conference on the Human Environment, tenutasi a Stoccolma nel 1972, da cui è nato l’UNEP (United Nation Environment Programme). Come si legge nel preambolo della Dichiarazione di Stoccolma, “l’uomo è al tempo stesso creatura e artefice del suo ambiente, che gli assicura la sussistenza fisica e gli offre la possibilità di uno sviluppo intellettuale, morale, sociale e spirituale […]. La protezione e il miglioramento dell’ambiente è una questione di capitale importanza che riguarda il benessere dei popoli e lo sviluppo economico del mondo intero; essa risponde all’urgente desiderio dei popoli di tutto il mondo e costituisce un dovere per tutti i governi […]”.
È così che la comunità internazionale ha cominciato a prestare attenzione alle relazioni tra uomo e ambiente e alle tematiche relative al sottosviluppo, riconoscendo l’importanza della tutela delle risorse naturali (aria, acqua, terra, flora e fauna); dello sviluppo economico e sociale necessario ad assicurare un ambiente propizio all’esistenza dell’uomo e a creare le condizioni necessarie per il miglioramento del tenore di vita; dell’utilizzo pianificato e responsabile delle risorse non rinnovabili della Terra, che devono essere impiegate in modo da non rischiare il loro esaurimento; dell’arresto di tutte le forme di inquinamento che danneggiano gli ecosistemi naturali in modo grave e irreversibile.
Tuttavia, a quasi 50 anni dalla pubblicazione di Limits to Growth, il paradigma classico dello sviluppo economico prevale ancora tra i politici e gli economisti in tutto il mondo. La conseguenza è che i quasi 8 miliardi di esseri umani oggi avrebbero bisogno di due pianeti per sopravvivere all’attuale tasso di sfruttamento e consumo. La pianificazione politica a breve termine comporta che la distruzione e lo sfruttamento irreversibile prevalgano sugli interessi comuni, nonostante le valide alternative esistenti in materia di finanza, sviluppo, produzione, energia ed ecologia. Senza modificare il paradigma attuale, il futuro potrà solo essere peggiore, in termini di povertà, guerre e perdita di interi habitat e specie.
Nel tempo, il concetto di sviluppo sostenibile si è trasformato, abbracciando nuovi modelli e vecchie teorie ampiamente rivisitate. Ma a prescindere dai modelli teorici e dalle previsioni, possiamo tutti toccare con mano come il nostro sistema economico sia sempre più esposto al rischio di recessione, e crei disoccupazione e sottoccupazione, allargando le diseguaglianze tra ricchi e poveri, sfruttando e degradando gli ecosistemi da cui dipende. È inoltre il principale responsabile dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento, della scarsità delle risorse, della desertificazione dei suoli, per citare solo alcuni fenomeni a loro volta causa di instabilità politica, guerre, terrorismo.
Per invertire la situazione serve un nuovo Illuminismo nella definizione delle politiche. Questo nuovo Illuminismo dovrà essere caratterizzato da un equilibrio migliore tra uomo e natura, tra mercati e legge, tra consumo privato e beni pubblici, tra pensiero a breve e lungo termine, tra giustizia sociale e incentivi per l’eccellenza. Essere in grado di vivere bene entro il limite naturale è quindi la grande sfida del nostro secolo, che richiede azioni immediate e che non potrà essere vinta senza un impegno individuale e politico consapevole e diffuso. Occorre ripensare criticamente la cultura della produzione e della conservazione, superando quella egemone della dissipazione e dello scarto: un processo certamente non semplice, a fronte di un approccio al mercato che ci ha visti negli anni diventare sempre più meri consumatori, mettendo a rischio la nostra capacità di costruzione, perdendo di vista il fatto che i prodotti hanno una storia e “un’anima”. Da questo dobbiamo trarre ispirazione per imparare a identificare i limiti che, come umanità, riteniamo di non potere o volere oltrepassare, aprendo una riflessione etica nell’era della società tecnica.
Bioeconomia per la rigenerazione dei territori. Decarbonizzare l’economia e riconnetterla con la società si può
di Catia Bastioli
Edizioni Ambiente
Pagine 150, euro 12,00