Come in altre, precedenti, occasioni, le elezioni europee hanno assunto un significato nazionale. In questo caso, per esprimersi: pro o contro la Lega di Salvini. Pro o contro il governo giallo-verde. Come lo stesso leader leghista aveva annunciato. Così, in effetti, è avvenuto. Anche se è difficile prevederne le conseguenze. E il significato. Sicuramente, è chiaro il vincitore. Salvini, con la sua Lega, sempre più “personalizzata”. Ma è difficile affermare che il voto europeo abbia premiato anche la compagine di governo. Nell’insieme. Perché il M5s, socio di maggioranza, ha subìto, al contrario, un crollo. Mentre, il PD, “riassunto” dei partiti storici (non solo) di Centro-Sinistra: DC e PCI, ha ri-conquistato visibilità e rilievo. A Destra, invece, si è affermata la formazione “più a destra”. I Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Sempre più vicina, sul piano dei consensi, a Forza Italia.
Tuttavia, se osserviamo la mappa del voto, l’Italia appare sempre più un Paese con-diviso. Dove, cioè, le principali tendenze politiche stanno perdendo le specificità locali e le divisioni territoriali di un tempo. La Lega, in particolare, ha decisamente allargato i suoi confini, rispetto al passato. Oggi è decisamente il partito più forte. Non solo sul piano “generale”, dove ha superato la barriera del 34%. Ma anche a livello “locale”. In modo diffuso. È prima in 76 province. Del Nord e del Centro.
Ma anche del Centro-Sud. E ciò rafforza l’identità e l’immagine della Lega. Divenuta, definitivamente, “Nazionale”. Ma anche di Destra. Per iniziativa di Matteo Salvini. Che, poco dopo essere divenuto segretario della Lega, si è avvicinato a Marine Le Pen e al “Rassemblement (fino a ieri: Front) National”. La “nazionalizzazione” politica, ma anche territoriale, della Lega contribuisce a spiegare il calo del M5s, oltre ogni pessimistica previsione. Anche se Di Maio ha preferito richiamare la crescita dell’astensione nel Mezzogiorno, appunto. Che, alle elezioni Politiche del 2018, aveva offerto una spinta determinante al successo del M5s. La distribuzione territoriale del voto, peraltro, conferma come si tratti ancora di un ambiente favorevole. Ma non al punto da garantire lo stesso risultato del passato recente. Quando la promessa del reddito di cittadinanza aveva contribuito alla mobilitazione dei cittadini del Sud. Oggi, dopo quasi un anno di governo, il reddito di cittadinanza è stato approvato. Ma non ha prodotto i benefici attesi, tra i cittadini più coinvolti. Soprattutto nel Sud. Così, è prevalso un sentimento di dis-illusione. Se non di delusione. Anche per questo motivo nel Mezzogiorno il M5s ha perduto 17 punti percentuali rispetto al 2018. Con punte significative in Sicilia e, ancor più, in Puglia, dove è sceso di oltre 18 punti.
Così, la Mappa dell’Italia politica ha cambiato i suoi tradizionali colori. In parte, almeno. Un anno fa, la carta dell’Italia era Giallo-Verde. Giallo a Sud, Verde nel Nord e nel Centro. Dove il PD e la Sinistra si erano indeboliti. Oggi la nostra mappa (tracciata, in queste pagine, dall’Osservatorio elettorale Demos – LaPolis, Università di Urbino) è divenuta “Verde-Gialla”. Con alcune macchie di rosso. Nelle province centrali, dove il PD prevale ancora in 6 province. L’Italia è, infatti, un Paese prevalentemente Verde, con alcune “sfumature” di Giallo e di Rosso. O meglio: Rosa. Il principale artefice di questo disegno è Matteo Salvini. Che ha attraversato l’Italia, in modo incessante. Ne ha alimentato sentimenti, ri-sentimenti e paure. Intorno a obiettivi e a temi differenti. Così, è apparso una sorta di Capitano, ma anche di “sacerdote”. Un “crociato”, che esibisce simboli religiosi. Bacia la croce. Ostenta l’immagine della Madonna. Invoca l’aiuto divino. Alla ricerca del nemico. Spesso “diverso”. Contro il quale conduce le sue “crociate”. In modo molto efficace. Come dimostrano questi dati. Secondo le analisi condotte dall’Istituto Cattaneo di Bologna, la Lega avrebbe intercettato “grossi flussi di nuovi elettori provenienti dal M5s e da FI. Soprattutto al Sud”. Mentre, secondo il CISE della LUISS, a Genova avrebbe attratto elettori “da tutti i partiti”. Dal M5s, ma anche da FI e dal PD. A Torino, invece, avrebbe “pescato da Centrodestra e dal M5s”. Si tratta di orientamenti confermati anche da altre indagini. Come quella di Quorum/Youtrend (per Sky). Che segnala come solo 4 elettori su 10, tra quelli che nel 2018 avevano votato per il M5s, abbiano confermato la loro scelta. Mentre gli altri si sono orientati altrove. Verso la Lega, anzitutto. E l’astensione.
Il M5s, dunque, sembra aver pagato per le stesse ragioni alla base del suo successo del 2018. Presentarsi come canale del malessere economico e politico dei cittadini. Senza specifici riferimenti ideologici e organizzativi in grado di orientare e “trattenere” i consensi. Verso il PD, invece, sarebbero confluiti soprattutto elettori delle formazioni politiche alla sua sinistra. Per prima: LeU. Ma anche elettori che, alle politiche, lo avevano “abbandonato” a favore del M5s.
Il successo della Lega di Salvini alle Europee appare, dunque, evidente, per misura ed estensione. Ma non è necessariamente duraturo. Come dimostra il precedente di Matteo Renzi. Perché viviamo un’epoca di paure più che di passioni. E le paure cambiano in fretta. Inseguirle non è facile. Per questo, non serve attendere che la “parabola del crociato” finisca da sola. Servono attori politici e sociali credibili. Il risultato del PD di Zingaretti è un buon segnale. Ma chi intende sfidare la Lega e i suoi alleati deve riprendere il cammino. Nella società. Sul territorio. In nome di interessi e di valori. Condivisi.