È difficile commentare in poche righe un lavoro come il Rapporto Censis che è fatto di 550 pagine fitte di tabelle, aggiornamenti, interpretazioni e innovazioni lessicali (segnalo quest’anno «le piastre di resistenza», «i muretti a secco», «il furore di vivere») ma due suggestioni vanno sicuramente raccolte perché ci consentono di spingerci più avanti, in territori ancora poco frequentati. La prima è quella che vede il 48 per cento degli italiani favorevoli «all’uomo forte al potere che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni».
L a seconda è quella che fotografa come quella stessa percentuale salga di molto — dai 15 ai 20 punti — via via che calano il reddito e la posizione sociale degli intervistati. È chiaro che l’espressione «uomo forte» si presta a letture tutt’altro che univoche. Ci rimette tra i piedi il ricordo delle tragedie del Novecento, con tutto il loro carico di sospensione della democrazia, distruzione fisica degli avversari politici, discriminazioni razziali e religiose. Parlamento ed elezioni in questa accezione non sono — come ci siamo abituati a considerarle — il sale delle moderne democrazie ma una dannazione. Accanto a questa possibile interpretazione ha campo anche una lettura meno drammatica della propensione all’uomo forte e ci conduce alla persistente incapacità decisionale della politica, che si trova di fronte a sfide epocali proprio quando il suo personale risulta assai meno preparato di ieri. E i meccanismi della competizione tra partiti sono resi più complessi e frammentari per il peso assunto dalla comunicazione. L’uomo forte in questa accezione è quello che sa saltare a pie’ pari gli sgambetti dei cento Partiti del No e le insidie di una burocrazia tentacolare. Le note dei ricercatori del Censis privilegiano questa curvatura, sottolineano la paralisi della politica dell’annuncio piuttosto che del fare e documentano con i numeri il continuo ampliamento dell’area del non voto. In Campania e in Sicilia alle politiche del 2018 si è superata la quota del 39% e in alcuni comuni dell’isola alle amministrative si è andati oltre la soglia psicologica del 50%.
La seconda suggestione che ci viene dal Rapporto lega condizione sociale e visione pessimistica della democrazia. Il 67% degli operai, il 62% degli intervistati meno istruiti e il 56,4% delle persone con redditi bassi è a favore dell’uomo forte. Ora è chiaro che l’abbinata sinistra-operai è saltata da tempo: risalgono al ‘93 le prime indagini sul voto di fabbrica alla Lega Nord e poi tutto il ciclo del protagonismo di Forza Italia ha pescato ampiamente tra le tute blu. Ma qui siamo al rovesciamento: da baluardo e difesa delle libertà democratiche — gli operai italiani hanno nel loro curriculum numerosi scioperi politici — i forgotten workers italiani diventano la punta avanzata della richiesta di soluzioni post-democratiche. E tutto ciò, si badi, senza che in questi ultimi anni ci siano state dimissioni in massa dai sindacati confederali, marce dei 40 mila contro gli scioperi o comunque scelte traumatiche che abbiano portato gli operai di botto a schierarsi a destra. È stato un lento ma graduale scivolamento che ha bypassato l’azione sindacale e che oggi ci ritroviamo di fronte come un macigno. La tuta blu dell’epoca di Facebook continua a pagare la tessera del suo corpo intermedio ma è contro la società di mezzo e lo stesso Parlamento. Annota il Censis: «È quasi il ritorno a una Italia post-unitaria quando la politica era riservata ai benestanti, agli antipodi dell’alta intensità ideologica del dopoguerra che vedeva invece come protagonisti proprio i soggetti meno abbienti».