Chissà se gli è venuta fuori spontanea, oppure era preparata per sembrare tale. Ma Matteo Salvini ieri mattina a Cernobbio ha pronunciato una battuta che suonava distante anni luce dalla precedente incarnazione del leader leghista, quando a febbraio scorso nell’aula di Strasburgo accusava l’Unione europea di essere un «Titanic». Ormai vicepremier da cento giorni, ieri al Forum Ambrosetti Salvini invece ha tenuto a ripetere che il suo governo farà di tutto per rispettare le regole europee sul deficit. «Ormai mi alzo la mattina e guardo lo spread invece di telefonare ai miei figli». La ragione specifica di questa conversione, ammette lo stesso Salvini, è l’esplosione dei rendimenti dei titoli di Stato da quando a maggio scorso uscì la prima versione del «contratto» di governo (con l’ipotesi di referendum di uscita dall’euro e default verso la Banca centrale europea).
Dev’esserci però anche una ragione più generale, nei tentativi di rassicurare di Salvini e degli altri leader di governo. Perché di solito le sfide le si lanciano quando ci si sente forti. Invece più o meno da quando questo governo si è affacciato alla ribalta e si è messo al lavoro, l’economia italiana dà segni di una debolezza sempre maggiore. Quasi al punto da riavvicinarsi, magari provvisoriamente e per pochi mesi, allo stadio della crescita zero. Tutt’altro che nelle condizioni di sostenere una schermaglia con la Commissione Ue o con i mercati finanziari.
Da qualche tempo in effetti le spie rosse hanno iniziato ad accendersie non solo quelle, molto visibili, attivate dagli investitori. Target 2, il sistema di pagamenti della Banca centrale europea, ha accumulato per l’Italia un rosso di 45 miliardi di euro fra inizio maggio a fine luglio: segno che molti capitali hanno iniziato a lasciare il Paese. Anche nell’economia reale però le spie hanno stanno girando al rosso più intenso. Nei primi due mesi di governo, giugno e luglio, si sono persi in Italia 90 mila posti di lavoro a tempo indeterminato secondo l’istituto statistico Istat (solo in piccola parte compensati da 24 mila nuovi contratti precari netti). Il ritmo al quale l’economia ha bruciato posti estate è stato dunque di 1.131 impieghi al giorno: un netto cambio di stagione da quando, fino a cinque o sei mesi fa, ogni giorno se ne creavano 900 netti in più. In realtà era dall’inizio della ripresa nel 2014 che l’occupazione nel Paese non diminuiva per tre mesi di seguito, come nell’ultimo trimestre. E come mostra il grafico, basato su dati Istat e Banca d’Italia, neppure durante le ultime tre recessioni (governo Amato nel ’92, quarto governo Berlusconi nel 2001, governo Monti nel 2011-2013) il ritmo di distruzione di posti è stato tanto rapido.
Va detto che il periodo sotto esame del governo legastellato è più breve e provvisorio. Ma che qualcosa stia andando storto in questi mesi lo segnala anche la cassa integrazione, che ha ripreso a crescere dopo una lunga fase discendente. Ancora a maggio scorso le ore autorizzate erano 50 mila in meno rispetto a anno prima, secondo i dati dell’Inps; a luglio erano già 878 mila più del luglio del 2017.
Sono tutti segni che le imprese hanno rallentato e rinviato gli investimenti. L’indice Pmi della fiducia dei manager dell’industria è sceso in agosto alla soglia sotto la quale c’è contrazione dell’attività. In parte c’è stato un (piccolo) rallentamento europeo. Ma certo l’incertezza seminata dai governanti di M5S e Lega, sull’euro o sui conti, ha congelato i piani delle imprese. Non stupisce che ora Salvini e colleghi cerchino di rassicurare, prima che l’Italia faccia un altro passo di troppo verso il fantasma della crescita zero.