I politici italiani amano spesso discutere di questioni secondarie, sorvolando sui problemi profondi del Paese.
Ne è prova il surreale dibattito che si è scatenato in queste settimane sulla riforma del fondo salva-Stati (Mes), mentre uscivano inosservati i dati che certificano un nuovo calo della produttività. L’incapacità dell’economia di diventare più efficiente e innovativa è la ragione per cui la nostra crescita è al palo da almeno due decenni. Senza crescita è impossibile ridurre il peso del debito pubblico, che diventa ogni giorno più ingombrante e pericoloso. Matteo Salvini e Luigi Di Maio si appassionano a un meccanismo – il Mes – che interviene nel caso in cui un Paese entri in crisi. Sarebbe più opportuno se mettessero la stessa attenzione nell’evitare che l’Italia debba ricorrere a un salvataggio esterno perché ha perso la fiducia degli investitori.
I dati, purtroppo, sono drammatici. Dopo una ripresa incoraggiante nel 2017, la produttività del lavoro in Italia è calata nel 2018 dello 0,3%. La produttività totale dei fattori, che misura la capacità di un’economia di utilizzare al meglio le sue risorse, è scesa dello 0,2%. Tra il 1995 e il 2018 il prodotto interno lordo per ora lavorata in Italia è cresciuto in media di appena lo 0,4% all’anno. Nell’Unione Europea è aumentato invece dell’1,6%, e in Francia e Germania, rispettivamente, dell’1,4% e dell’1,3%. «La produttività», ha detto il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, «non è tutto, ma nel lungo periodo è quasi tutto». La storia economica mostra come i periodi di grande miglioramento delle condizioni di vita di un Paese siano segnati da un forte progresso nella sua capacità di produrre di più a parità di ore lavorate. È successo in Gran Bretagna durante la rivoluzione industriale e in Italia durante il secondo dopoguerra. La crescita dei salari è legata a doppio filo con gli aumenti della produttività: è questa, infatti, a permettere alle aziende di pagare di più i propri lavoratori in maniera sostenuta nel tempo.
Nell’ultimo anno e mezzo, i governi giallo-verde e giallo-rosso sembrano essersi dimenticati di questa variabile essenziale. Lega e 5 Stelle hanno dato assoluta priorità a sussidi come il reddito di cittadinanza e quota 100, che elargiscono spesa pubblica senza aiutare la crescita di lungo periodo. Partito Democratico e 5 Stelle si stanno impegnando nel salvaguardare posti di lavoro in una serie di imprese in crisi, prima fra tutte Alitalia, curandosi poco di quanto costerà salvarle. I politici dicono di voler aiutare chi è rimasto indietro e sostenere la transizione verso l’economia del domani. Ma se nessuno pensa a come costruire l’Italia del futuro, si finisce soltanto per rimandare la soluzione di un problema che diventa sempre più pesante. Un’agenda della produttività prevedrebbe un miglioramento del sistema educativo italiano, le cui debolezze sono state evidenziate dai dati Ocse usciti in settimana; un taglio dei sussidi inutili per incrementare la spesa in infrastrutture; e un sistema di incentivi che favorisca la crescita delle imprese. L’economia italiana ha enormi difficoltà a distribuire le sue risorse, quali forza lavoro e capitale, verso le aziende più innovative e efficienti. A differenza di quanto pensano troppi politici, anche mantenere in vita artificialmente aziende decotte ha un costo sociale elevato.
Con un tasso di occupazione al livello più alto almeno dal 1977, il problema italiano non è tanto la quantità di lavoro, quanto la sua qualità. L’Italia si sta trasformando in un Paese in grado di creare qualche posto di lavoro in più, ma senza corrispondenti aumenti del Pil. Questa crescita, che gli economisti chiamano “senza prodotto”, ci condanna a restare fragili e sempre in pericolo di una nuova crisi.L’ossessione di Di Maio e Salvini per il fondo salva-Stati rischia di diventare una profezia che si autoavvera.