Arriva oggi sul tavolo del consiglio dei ministri il Def con il quadro tendenziale dell’economia italiana, preparato nelle scorse settimane dal ministero dell’Economia. Fino all’ultimo si è discusso su un possibile slittamento alla prossima settimana, anche per il possibile incrocio con un prolungamento dell’incarico esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico. Ma per i tempi stretti militano due ragioni. La prima nasce dall’esigenza di rispettare la scadenza europea del 30 aprile, anche se la Ue ha detto di non voler essere troppo fiscale sul punto. Ma un’altra data chiave da anticipare è quella del 2 maggio, quando l’Istat diffonderà i nuovi dati che dovrebbero mostrare il raffreddamento della congiuntura. Anche senza le nuove cifre, del resto, nel governo si discute se confermare l’ipotesi di un tasso di crescita all’1,6% nel 2018, oppure virare su un più prudente 1,5%, in linea con le vecchie previsioni. La scelta sarà presa in extremis, anche perché i segnali arrivati negli ultimi giorni dagli indicatori non sono univoci: l’euro un po’ più debole aiuta un Paese esportatore come il nostro, che però è anche dipendente dall’estero per le materie prime e viene quindi colpito dall’aumento del prezzo del petrolio.
Per i prossimi due anni, invece la crescita è destinata a scendere all’1,4% e all’1,3%, anche a causa dell’effetto recessivo che sarebbe prodotto dagli aumenti dell’Iva completamente incorporati nel tendenziale. Il compito di bloccarli toccherà alla manovra. Nel Def , però, il governo ha inserito una tabella che ricorda come un pezzo di strada è già stato fatto, perché oltre allo stop agli aumenti del 2018 l’ultima legge di bilancio ha ridotto la montagna da scalare l’anno prossimo, che infatti prevede aumenti Iva per “solo” 12,4 miliardi contro i 19,2 del 2020.
La ricostruzione è il massimo che un governo in carica per gli affari correnti può fare per suggerire che le clausole non sono inevitabili, anche se il compito appare più difficile che in passato. Quest’anno il 70% degli spazi necessari a evitare gli aumenti è arrivato dal deficit aggiuntivo rispetto ai programmi, ma sarà difficile trovare nuovi argomenti per ottenere un altro “sconto” a Bruxelles. Il Def tendenziale dovrebbe confermare un indebitamento netto allo 0,9% l’anno prossimo per arrivare al «pareggio sostanziale» (deficit dello 0,2%) nel 2020; e le ragioni sostenute in passato per scostarsi da questo sentiero oggi non possono essere ripetute, perché secondo i (contestati) calcoli Ue ora la nostra crescita reale ha chiuso la forbice rispetto a quella potenziale (non c’è più quindi l’output gap negativo, che giustificherebbe politiche fiscali più espansive), e il calo degli sbarchi toglie peso alle «spese eccezionali» collegate all’emergenza migranti. In questi anni, poi, l’Italia si è anche giocata la “clausola investimenti”, che pur non avendo portato una ripresa in questa voce (-5,6% nel 2017) non può essere ripetuta.
I due decimali una tantum in più prodotti dalle obiezioni Eurostat sugli interventi salva-banche non modificano la parabola del deficit, mentre incidono sul debito che è uno stock. A parità delle altre variabili, il debito 2019 dovrebbe attestarsi intorno al 130,2% (contro il 130% scritto nell’ultima Nadef), e quello del 2020 al 127,3%, aggiungendo un altro piccolo peso sulla posizione dell’Italia che già non rispetta la regola Ue sul punto. Fin qui, appunto, la parte “tendenziale”. Le analisi sulle strategie da adottare spettano invece al Parlamento, con l’esame delle due commissioni speciali e un ormai quasi certo passaggio in Aula con il voto sulle risoluzioni. A premere sono quasi tutti i partiti, Pd compreso, contrari a un esame solo tecnico del Documento. Soprattutto Lega e M5S contano di utilizzare le risoluzioni per rilanciare le proprie parole d’ordine di politica economica, ma a chiedere il passaggio in Aula è anche Renato Brunetta (Fi). Per l’ex capogruppo azzurro sarebbe l’occasione utile per chiedere il rispetto delle regole Ue su deficit e debito, con una posizione che promette di riaprire lo scontro nel centro-destra. Intanto fra le vittime dello stallo entra ufficialmente anche la web tax, che aveva infiammato il dibattito sulla manovra. Il termine per il decreto attuativo scade lunedì, ma è lo stesso governo a far filtrare l’intenzione di soprassedere, in attesa di un nuovo esecutivo e delle decisioni Ue sul tema.