L’effetto- Fitch non manda in fibrillazione lo spread e i mercati si prendono un po’ di respiro sul rischio- Italia. Ma ci pensa l’Ocse a chiarire che il barometro annuncia settimane di tempesta: crescita globale in frenata, fine del denaro facile da parte della banche centrali, i dubbi sulla fine del negoziato della Brexit. Tutti potenziali focolai di crisi.
L’Italia resta sorvegliato speciale: la mezza bocciatura dell’agenzia Usa — che ha confermato il rating del nostro paese rivedendone al ribasso le prospettive — non ha avuto effetti sul differenziale di rendimenti tra i Btp decennali e i Bund tedeschi. Anzi. La forbice si è ridotta ieri a 285 punti base, otto meno di venerdì, pari a un rendimento del 3,19%. Anche la Borsa ha chiuso in positivo ( +0,62%). Le quotazioni attuali — dicono gli analisti — scontano già il calo di un voto nei giudizi sul debito tricolore che arriverebbero a quel punto a un gradino dalla rischiosa soglia delle “obbligazioni spazzatura”. La pagella di Moody’s e Standard & Poor’s è attesa a fine ottobre dopo il varo della manovra e l’esame della Ue, in arrivo a metà del prossimo mese. Il termometro dello spread, malgrado la timida schiarita di ieri, dice che la situazione per l’Italia è tutt’altro che tranquilla. Anche perché ai guai di casa nostra si aggiungono quelli di un’economia europea che inizia a dare segni di affaticamento causa guerra dei dazi. L’indice Pmi dell’attività manifatturiera in Europa è sceso al minimo degli ultimi due anni, con l’Italia nelle retrovie ( con una flessione superiore alle stime) dopo sei mesi di calo consecutivo.
Poi ci sono gli allarmi sulla tenuta di un sistema finanziario ” drogato” dalle iniezioni di liquidità delle banche centrali. L’Ocse segnala anche l’enorme volume dei derivati in circolazione, pari a metà 2017 a 532 miliardi di dollari — quasi sette volte il Pil mondiale — e poi la fine dell’era del denaro facile distribuito dagli istituti centrali. Fed, Bce e le loro omologhe a Londra e Tokyo avevano in portafoglio a inizio anno attività per 15 trilioni rispetto ai 3,2 di gennaio 2007 e buona parte di questi titoli dovrà prima o poi essere scaricata sui listini, mettendo pressione sui bilanci dei paesi più fragili e con debito maggiore.
L’Italia, ovviamente, risponde appieno a questo identikit. E le bellicose dichiarazioni contro il totem del deficit al 3% non aiutano certo a tranquillizzare gli investitori. La prova? I titoli di stato italiani a due anni rendevano ieri l’1,4%, più di quelli della Grecia. E la Spagna riesce oggi a ottenere sul mercato prestiti pagando quasi duecento punti base meno di noi. Un problema non solo per il Tesoro tricolore — che a questi livelli rischia di sborsare 5 miliardi in più di interessi in un anno — ma anche per le aziende: l’aumento dei tassi vale pure per le emissioni delle società a caccia di soldi sul mercato. E non a caso da inizio maggio ad oggi solo quattro gruppi hanno piazzato 3,5 milioni di obbligazioni, contro le 23 operazioni per un totale di 12,5 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno.
Tutti insomma restano alla finestra, in attesa di capire come la maggioranza gialloverde riuscirà a far quadrare le costosissime promesse elettorali con una manovra economica obbligata a rispettare i paletti della Ue che coinciderà con la chiusura parziale dell’ombrello della Bce. All’inizio del Qe Eurotower comprava ogni mese 9 miliardi di titoli a lungo termine tricolori, negli ultimi mesi è scesa a 4, a ottobre a due. Poi reinvestirà solo i profitti e coprirà quelli in scadenza. E la credibilità del Belpaese sarà l’unica moneta per convincere gli investitori a riempire il buco lasciato da Berlino.