Chiusasi la contesa sull’alta velocità Torino-Lione il Nord è pressoché sparito dall’agenda politica e tocca, dunque, agli studiosi tener viva la bandiera della questione settentrionale. Nei giorni scorsi prima la Fondazione Nordest e poi l’università di Parma hanno organizzato due momenti di riflessione che avevano un comune punto di partenza: qual è lo stato di salute del nuovo triangolo industriale Milano-Treviso-Bologna? La risposta che viene da Franco Mosconi e dagli altri economisti industriali che hanno animato la riflessione di Parma porta a sottolineare la straordinaria vivacità, dentro il triangolo, delle imprese emiliane. Le loro performance sono al livello delle aziende lombarde, molti indicatori ne sottolineano la forza dell’export, la robustezza patrimoniale, la crescita del valore aggiunto, la valorizzazione del capitale umano e un’ottima attitudine a navigare nelle discontinuità tecnologico-organizzative del 4.0. Il sistema emiliano è articolato, ai piani alti, su tre grandi gruppi fortemente internazionalizzati (Barilla, Parmalat e Cremonini), un folto gruppo di multinazionali tascabili — quelle censite dalla tradizionale indagine Mediobanca — guidato da Coesia, Chiesi e Ima e un nutrito esercito di Pmi Champions (censite dall’indagine Italypost) che raggiungono Ebitda di assoluto rilievo e in molti casi a due cifre. Fuori dalle fabbriche buoni numeri evidenzia anche l’istruzione terziaria e in particolare i laureati in scienza e tecnologia. Potrà sembrare paradossale rispetto a un passato recente ma, dentro il triangolo, a soffrire di più sono le imprese venete che non paiono veloci e inclusive quanto le lombarde e le emiliane. Abituate a fare corsa di testa le aziende nordestine oggi sono più lente per pesanti ritardi sugli investimenti nel capitale umano, per un deficit di attrattività di manager e talenti e più in generale per una cultura imprenditoriale che ha puntato più sull’individualismo «eroico» che sull’implementazione di fattori sistemici.
Però al di là della mappatura più o meno puntuale delle differenze interne il triangolo industriale è alle prese con un 2019-20 che si presenta sfavorevole per i manifatturieri. Riusciranno a tener botta? Secondo i dati di Unioncamere le tre regioni nel 2019 stanno viaggiando ancora tra +0,4 e +0,6% (con un leggero primato emiliano) ma le sfide che si prospettano fanno tremare i polsi perché sono inedite. Solo per fare due esempi che, guarda caso, riguardano le aree di eccellenza del sistema Emilia: che riflessi avrà sulla Motor Valley la perigliosa riconversione all’elettrico del settore automotive? E il mondo agro-alimentare riuscirà a dotarsi di nuove strategie di fronte alle turbolenze internazionali causate dal risorgente protezionismo che rischiano di mettere nei guai Parmigiano e Grano Padano e hanno risparmiato per un soffio il Prosciutto di Parma?
Quando avremo dati più attuali sugli investimenti capiremo come le imprese del triangolo stanno somatizzando le difficoltà di oggi e se dopo la fiammata di Industria 4.0 c’è ancora un consistente flusso di nuove iniziative per accompagnare la trasformazione digitale e rinnovare il capitale umano (o come raccontano gli analisti c’è tanta liquidità parcheggiata, anche nelle imprese, per paura dell’incertezza). Un elemento che non è venuto fuori in nessuno dei due appuntamenti citati riguarda, infine, la relazione tra i territori e Milano. La città di Ambrogio nel nuovo triangolo fa quasi corpo a sé (con una battuta potremmo dire che è extra-lombarda): si propone di fatto come una piattaforma di terziario avanzato «europeo» al servizio delle imprese delle tre regioni, rappresenta un’occasione di incontro tra capitalismo della conoscenza e mondo manifatturiero tutta da implementare. Ma l’impressione è che questo viaggio proceda troppo lentamente anche per un’insufficiente commitment da parte delle classi dirigenti, che nei convegni sostengono di voler evitare la cesura città-campagna ma nei fatti poi finiscono per contraddirsi.