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L’occhio critico della Commissione europea starà certamente passando al vaglio la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza finalmente resa pubblica dal Tesoro e probabilmente si starà soffermando su un parametro: il deficit strutturale (ovvero il disavanzo tra entrate e uscite dello stato al netto della componente ciclica e delle misure una tantum) si fissa all’1,7% l’anno prossimo e tale rimane per il triennio. Senza le misure previste dal governo, ovvero al livello “tendenziale” che include l’aumento dell’Iva, sarebbe invece allo 0,4% nel 2019, e in calo verso l’azzeramento.
Carlo Cottarelli, l’economista già al Fmi e alla revisione della spesa che guida l’Osservatorio sui Conti pubblici presso l’Università Cattolica di Milano, nota a caldo come sia questo uno dei parametri più sensibili che emergono dalla documentazione pubblicata, mentre ancora procede l’analisi delle tabelle nel suo team di esperti. “Rispetto alle notizie che erano circolate negli ultimi giorni, non ci sono novità particolari. Ma l’immobilismo sul deficit strutturale può essere un problema, perché le regole europee ne richiederebbero la graduale riduzione fino al raggiungimento del pareggio di bilancio. In questa Nadef, a differenza del passato, non c’è neanche la promessa di raggiungere il pareggio di bilancio nell’orizzonte triennale. Sebbene poi disattesa, una tale promessa era stata interpretata come un segnale di disciplina fiscale, che ora manca”.
Rischiamo dunque di andare incontro a problemi in sede europea?
C’è un altro aspetto da valutare con attenzione. La Nadef spiega che le clausole di salvaguardia relative all’aumento dell’Iva vengono sterilizzate nel 2019, ma solo “parzialmente” nel 2020 e 2021. Visto che Bruxelles non li ritiene strumenti credibili (le abbiamo sempre disattivate), è possibile che nei calcoli della Commissione il deficit nel 2020 e ’21 sia ancora più alto, magari non in discesa al livello nominale e in aumento a livello strutturale.
Quali obiezioni potrebbe porre il governo?
Una simile misura espansiva a quella prevista con questa Manovra – con una crescita del deficit strutturale nell’ordine di 0,8 punti di Pil – era stata già attuata dal governo Renzi del 2016. Sarebbe legittimo domandarsi perché, se allora fu tollerata, non dovrebbe accadere altrettanto. Ma ci sono due ordini di considerazioni. In primo luogo, allora si chiarì che negli anni a venire ci sarebbe stata una stretta, che qui non si vede. Poi era molto più recente la ‘batosta’ della crisi, per uscire dalla quale la Commissione era disposta a sopportare uno sforamento. Ora potrebbe obiettare che non ci sono più quelle condizioni.
Tutto sommato, però, il debito/Pil è visto in calo…
A prima vista non vediamo anomalie in quel dato, che risente in parte anche dai proventi da privatizzazioni che per i prossimi anni restano da definire, fatta salva l’asta del 5G. Ma la Nadef stessa riconosce che il debito non scenderà quanto richiesto dalle regole europee. Difficilmente l’Ue potrà valutare positivamente questo programma. Vedremo cosa si deciderà, anche grazie a un’analisi più approfondita.
Stupisce anche la stima di crescita, posta all’1,5% nel 2019 e poi all’1,6 e all’1,4%. Sopra quello che dicono i previsori.
Per arrivare a quei risultati, bisognerebbe più che raddoppiare l’attuale crescita trimestrale (allo 0,2% nel secondo trimestre di ques’anno) dal quarto trimestre del 2018 in poi. Sembra effettivamente difficile. Non si può certo negare che l’anno prossimo le misure annunciate possano portare un effetto espansivo, ma in parte è calmierato dall’aumento del tasso d’interesse che influisce sul comportamento delle banche e sull’erogazione del credito. Se poi è possibile uno choc positivo alla crescita dall’aumento del deficit nel 2019, è più difficile mantenerlo negli anni a venire. Quelli espressi non sono numeri impossibili, del tutto irrealizzabili come sarebbe stata una crescita al 2%. Ma ottimistici, senza dubbio.
E se dovessimo scoprirci più lenti, quanto dovremmo correggere i conti?
Un punto di Pil in meno di crescita vuol dire una salita del deficit/Pil di 0,4-0,5 punti. Se invece dell’1,5 dovessimo crescere dello 0,5%, ad esempio, il deficit/Pil salirebbe al 2,8-2,9%, dal 2,4 previsto. Detto in altri termini, se invece dell’1,5 facessimo il +1%, dovremmo correggere i conti di circa tre miliardi e mezzo (0,2 punti di Pil) per mantenere il deficit entro il 2,4% del Prodotto annunciato.
Dal reddito alla Fornero, le misure annunciate costano oltre 22 miliardi. Cosa ne pensa?
Il maggior deficit dà coperture solo per 7 miliardi. La Nadef indica altre coperture per 10-11 miliardi (tra taglio alle spese ministeriali, riciclo delle risorse postate per il reddito di inclusione, abolizione di ACE e IRI). Il resto dovrebbe essere costituito dal taglio di deduzioni e detrazioni.
*La Repubblica, 5 ottobre 2018