Sapete cos’è la metabolomica? Neanche noi, prima di incontrare Massimo Mercati. Il quale butta lì il termine tra parentesi, parlando del lavoro di ricerca in un’azienda — Aboca, di proprietà della sua famiglia — che è ancora classificata come «società agricola». È diventata molto di più, nel tempo. Quella parola, intanto. Metabolonica. In sintesi estrema, che però rende l’idea: è la scienza che studia e misura i processi cellulari dell’organismo. Ed è solo uno dei passaggi fondamentali per arrivare ai prodotti di automedicazione o agli integratori che tutti, almeno una volta, abbiamo visto e magari comprato in farmacia o in erboristeria. «Sostanze naturali e 100% bio», è la promessa. Nell’era in cui tutto ciò che è «bio» fa moda, suona come il più pigro degli slogan. Ma non è così semplice, nella pratica. Non sempre. In questa, di storia, per ottenere le sostanze di cui sopra e «riportarle al centro della terapia dell’uomo» — e perché possa accadere occorre davvero «battere» la chimica là dove le due tipologie di farmaci si possono confrontare: se ci viene la tosse, per dire, o abbiamo problemi digestivi, o dobbiamo aggiustare un po’ il metabolismo — servono biologi, bioinformatici e sì, certo, anche chimici.
Visione
Ce ne sono un centinaio, a fare ricerca nell’ex villa di Sansepolcro che Valentino Mercati, padre di Massimo e fondatore del gruppo, comprò all’inizio degli Anni Settanta. Doveva essere semplicemente la residenza di famiglia. Diventò l’inizio di tutt’altra avventura. Porterà Aboca, fra l’altro, ai vertici delle nostre migliori piccole-medie imprese per solidità e capacità di sviluppo, reddito, autofinanziamento. A metà marzo, quando L’Economia presenterà la doppia classifica dei Champions elaborata per noi dall’ufficio studi di ItalyPost, la società aretina comparirà nella Top 100, la Super League delle medie aziende. Ne ha tutti i numeri: nel 2017 il fatturato era arrivato a 192 milioni grazie a una crescita media annua del 16,82% negli ultimi sei anni, gli utili industriali erano il 18,35% del giro d’affari nella media 2015-2017, il ritorno sul capitale investito equivaleva al 16,51%. E se è vero che il grosso salto (da 126 a 172 milioni) registrato dai ricavi tra il 2015 e il 2016 è in parte legato all’acquisto delle farmacie fiorentine Afam, base del progetto «di rete» internazionale «Apoteca natura», la solidità del trend a doppia cifra non è in discussione. Né sulle vendite, né sulla redditività. Fatturato 2018: 215 milioni, con un margine operativo di 33. Previsioni 2019: giro d’affari attorno ai 237 milioni, dunque ancora in crescita oltre l’11%, Ebitda sui 32, quindi pur sempre vicino al 14%.
Tutto questo non nasce per caso. E non dipende (non solo) dalla moda del biologico. La villa che Valentino Mercati comprò a Sansepolcro, località Aboca (di qui il nome dell’azienda), aveva attorno grandi terreni e, sui terreni, una fattoria. Da imprenditore, voleva renderla produttiva. Ma non è che la bellissima Valtiberina tra Toscana e Umbria sia, poi, anche un posto ideale per l’agricoltura o la viticoltura. Lui decise che c’era una sola strada: mettersi a coltivare piante officinali. Farlo con i metodi dell’epoca sarebbe stata però una chiara contraddizione in termini. Troppa chimica, troppi concimi e trattamenti non naturali per chi puntava all’esatto opposto: il modo di curare una tosse, un raffreddore, un mal di stomaco senza gli effetti collaterali magari minimi, magari solo ipotetici, ma che quasi qualsiasi farmaco tradizionale porta potenzialmente con sé.
Era il 1975. Valentino si prese probabilmente del matto quando lasciò la grande rete di concessionarie auto che possedeva insieme ai fratelli, e si buttò nella nuova impresa con l’ambizione — come ricorda ora il figlio: Massimo all’epoca aveva quattro anni, oggi è l’amministratore delegato del gruppo — «di cambiare radicalmente il modo di fare agricoltura e pastorizia». Immaginate il periodo, e il contesto. Qualcuno guardava a Mercati senior con la sarcastica sufficienza riservata ai filoni della «medicina alternativa». Altri gli davano del visionario, e anche quello, in quegli anni, non voleva essere esattamente un complimento.
Tale si è invece rivelato. Dice Mercati junior che ci sono volute «pazienza, costanza e coerenza, tante, per farci capire dal consumatore e avere le prime aperture dalla comunità scientifica». Non è accaduto fino agli Anni Novanta del secolo scorso, e il pieno riconoscimento (almeno da parte del mercato) non è arrivato se non in questo, di secolo. Ma ciò non fa che confermare quanto fosse «lunga» la visione di Valentino, quarant’anni fa, e su due piani. Il primo: ha intuito che «naturale» e «bio» sarebbero potuti diventare un business. Il secondo: nel Paese la cui storia industriale è in fondo stata scritta anche dagli Adriano Olivetti, i Gaetano Marzotto, gli Aristide Merloni, ha scommesso sul fatto che si potessero ancora coniugare impresa e affari con un modello di sviluppo sostenibile.
«Società benefit»
Aboca produce (e il 98% delle piante officinali e materie prime usate proviene dai suoi terreni), vende (in 14 Paesi, ormai), guadagna (tanto), reinveste (altrettanto, e soprattutto in ricerca: il 7% del fatturato). Ma Massimo Mercati e la sua famiglia continuano a non credere nel capitalismo concepito «come creazione di valore solo per gli azionisti e i manager», pensano che «l’impresa abbia anche una funzione e una responsabilità economico-sociale», sono convinti che «i principi di sostenibilità, non solo ambientale, siano sfidanti sì, ma anche un acceleratore della crescita». Non sono belle parole, e finita lì. Lo scorso agosto Aboca ha scelto il nuovo modello giuridico della «società benefit», sancendo per statuto e dunque anche a livello legale «la sua vocazione di azienda in cui si fondono attività imprenditoriale e ricerca del bene comune».
Chiamiamoli «imprenditori sociali e di successo». Non sono pochi, tra i Champions L’Economia-ItalyPost. Ne abbiamo incontrati molti nei mesi del reportage edizione 2018, ne stiamo incontrando altrettanti già all’inizio del viaggio 2019. Forse qualcosa, da loro, la dovremmo imparare.