Numerose ricerche, e tutti i principali osservatori, segnalano da alcuni mesi un accentuarsi del rallentamento economico, degli indici di fiducia di imprese e consumatori e dell’export. L’Istat certifica la «recessione tecnica». Quando ItalyPost, con L’Economia, ha condotto l’indagine sulle imprese Champions gli unici dati ufficiali disponibili erano i bilanci 2017: dati estremamente utili nel misurare le performance sui sei anni precedenti ma che, con ogni evidenza, non possono dirci granché sul secondo semestre 2018 e su questi primi mesi del 2019. Corriamo quindi il rischio, basandoci esclusivamente su quei numeri, di raccontare una realtà nel frattempo profondamente mutata.
Per limitarlo, abbiamo «sottoposto» i Champions a un sondaggio. Che cosa è accaduto, com’è stato il 2018 per le loro aziende? E che cosa sta accadendo, in questi primi mesi del 2019?
Premesso che i mercati e la situazione internazionale sono in grandissima evoluzione e che i fattori di rischio, dalla Brexit, al debito pubblico italiano, alla guerra commerciale Usa – Cina, restano notevoli, la rilevazione di ItalyPost su un campione rappresentativo del 20% tra le Top 600 dipinge uno scenario che, per gli stessi Champions, fin qui sembra fortunatamente avere ancora più luci che ombre. Nel 2018 il 76,86% delle 120 imprese che hanno partecipato al sondaggio ha continuato a crescere oltre il 2%, e ben il 41,32% addirittura oltre il 10%. Quanto alle stime per il 2019, il 65,52% prevede ordini in aumento, solo il 25,86% si aspetta una situazione stazionaria, e appena l’8,62% teme di chiudere in negativo.
Per concentrarci sul 34% di imprese che non crescerà o che addirittura teme una flessione degli ordini, va considerato che in alcuni casi si tratta di un calo fisiologico dovuto a «normali» fattori di mercato: crescita prolungata negli anni precedenti, riduzione degli incentivi sui macchinari, attesa di novità tecnologiche in occasione di fiere del settore.
Di tutti questi elementi, i più significativi sono certamente il fortissimo rallentamento dell’automotive europeo e la stagnazione dei consumi interni in Italia.
Il primo ha riflessi su numerosi settori, dalla concia alle materie plastiche, dalla meccanica all’elettronica, e impatta in maniera pesante sul Prodotto interno lordo di gran parte del Nord del Paese. Il secondo frena soprattutto chi opera in maniera importante in comparti come la grande distribuzione o comunque nel mercato interno: i segnali di rallenta mento avvertiti sono assai più accentuati di quelli segnalati da chi si muove sui mercati globali, e in parti colare nei Paesi extraeuropei. Detto ciò, se il 76% delle imprese Champions ha continuato a crescere nel 2018, la percentuale scende al 65% se riferita a chi pensa che continuerà a farlo anche nel 2019. È comunque un’abbondante maggioranza.
Può valere come segnale per l’intera industria italiana? No, chiaramente. Sarebbe un errore clamoroso pensare che l’allarme sul rallentamento dell’economia possa rientrare. Anzi, la sensazione è che il divario tra i Champions e le altre imprese si stia notevolmente allargando. Le aziende della Top 100 e della Top 500 rappresentano infatti una ristretta élite (circa il 5% delle imprese appartenenti alle rispettive fasce di fatturato). Sono fondamentali per garantire la sopravvivenza di un tessuto industriale e per trainare le imprese inserite nelle loro filiere. Ma, se la crisi si accentuasse e il resto del sistema imprenditoriale dovesse soffrire oltre misura, anche i Champions correrebbero un rischio concreto: ritrovarsi privi di un contesto caratterizzato dalla presenza diffusa di capacità imprenditoriali e di competenze fondamentali per alimentarne la crescita.
I dati regionali confermano questa tesi. I Champions crescono e prosperano solo dove, dietro a loro, stanno catene di fornitura e altre imprese di livello che fanno da base al loro sviluppo. In un’ulteriore ricerca svolta da ItalyPost abbiamo per esempio constatato come, a fronte di 407 imprese tra Champions e aziende cosiddette «second best» nella regione più industrializzata d’Italia, cioè la Lombardia, ve ne sono solo 52 in tutta la Campania. A fronte delle 257 del Veneto, solo 17 della Puglia. Ecco perché il Paese non può accontentarsi del fatto che i suoi Campioni raggiungeranno risultati molto positivi anche nel 2019, e deve invece preoccuparsi per ciò che avviene nella parte meno avanzata del sistema imprenditoriale. Lì, la nuova crisi potrebbe portare a perdere aziende e competenze difficili da ricostruire.
Per non parlare di un ulteriore elemento di preoccupazione, evidenziato da economisti come Paolo Gubitta e Stefano Micelli: la fuga di cervelli che, in alcune aree (per esempio il Triveneto), rischia di lasciare i Champions a secco perfino di competenze.
L’Economia 15 marzo 2019