Il «Manifesto per l’Italia delle competenze» lanciato sul Sole 24 Ore dal ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda e dal segretario della Cisl Marco Bentivogli riporta al centro del dibattito politico il principale dei nodi che il sistema Paese dovrà affrontare nei prossimi anni: riattivare un meccanismo di crescita sostenuta, almeno di pari livello a quella dei Paesi nostri competitor, mantenerla stabilmente nel tempo e rendere così fisiologica la creazione di posti di lavoro qualificato per le giovani generazioni.
Ma soprattutto, uscendo da un equivoco durato troppo a lungo nel nostro Paese, il Manifesto di Calenda e Bentivogli rende di nuovo l’industria protagonista. Dopo anni si torna a parlare in maniera diretta ed esplicita di Politica industriale.Si disegna uno scenario organico di riforme finalizzate allo sviluppo, si affronta il grande tema, finora molto trascurato in Italia della connessione tra ricerca e impresa, delle sinergie pubblico-privato.
Il cammino non è dei più semplici e i numeri sono impietosi. In dieci anni, dalla crisi del 2008 a oggi, l’Italia ha perso un quarto della produzione industriale. Nei territori industrialmente più evoluti è iniziato un recupero. A Bergamo, l’area in cui opera la mia impresa e che conosco meglio, la perdita è stata pressoché dimezzata. La struttura industriale del Paese è ancorata a uno schema di 20-60-20 in cui il 20% delle imprese è saldamente ai vertici europei per livelli di produttività, esportazione e competitività, il 20% rischia quotidianamente di uscire dal mercato e il 60% può finire, per una qualunque fluttuazione interna o internazionale, in una delle due quote alle estremità. L’occupazione dà segnali di risveglio ma mostra dinamiche preoccupanti. I livelli generali restano altissimi e la disoccupazione giovanile in Europa è inferiore solo a quella spagnola. Mi permetto di citare ancora Bergamo dove il tasso complessivo di disoccupazione è al 5,3%, uno dei più bassi del Paese, ma dal 2008 a oggi gli occupati tra i 15 e i 44 anni anni sono scesi di 60mila unità e quelli tra i 45 e i 64 anni sono aumentati di 70mila unità.
Qualcosa non funziona, è evidente. Esiste uno scollamento tra il tessuto sociale del Paese e il mondo della produzione. Troppo spesso l’industria ha dovuto camminare su terreni impervi senza un sostegno adeguato di regole, senza percorsi capaci formare i giovani e accompagnarli nel mondo del lavoro, di fornire alle imprese un sostegno concreto nella ricerca applicata. Il 20% che ce l’ha fatta, che ce la fa, molto spesso contando solo sulle proprie forze, non può essere sufficiente a trainare il resto del sistema. Industria 4.0 è stato l’avvio di un percorso diverso. Siamo tornati nella logica della politica industriale e siamo usciti dalle dinamiche perverse degli incentivi a pioggia e dei bandi di impossibile comprensione a cui le imprese non partecipavano. L’automatismo degli incentivi dell’ammortamento e del superammortamento ha creato un canale di moltiplicazione degli investimenti e ha avviato una modernizzazione del sistema destinata a durare nel tempo. E tutto senza gravare sul bilancio pubblico. I dati diffusi giovedì scorso dall’Ucimu, l’associazione dei produttori di macchine utensili, con l’incremento degli ordinativi di robot dell’85% e una saturazione delle linee fino a settembre prossimo, sono la testimonianza di un percorso virtuoso che si è innestato speriamo in maniera fisiologica e che lascerà in eredità al Paese un sistema industriale digitalizzato e connesso.
Ma il percorso va completato: vanno stabilizzati percorsi di formazione, va resa costante l’osmosi tra ricerca pubblica e privata, vanno create le infrastrutture materiali e immateriali necessarie allo sviluppo di un’impresa moderna e competitiva. Venerdì scorso il Sole 24 Ore dava conto del primo bando per l’istituzione dei Competence center di Industria 4.0. Si tratta di uno snodo cruciale. I Competence center nasceranno grazie ad accordi tra Università, enti di ricerca imprese. Saranno i laboratori in cui si avvieranno e completeranno i progetti concreti di sviluppo di nuovi prodotti. Saranno anche il luogo in cui potranno essere formati i tecnici di Industria 4.0 attingendo o da istituti tecnici che dovranno essere velocemente ed efficaciemente riformati o direttamente dal personale delle imprese. Credo si possa affermare che le regole e i bandi di Industria 4.0 dedicati ai Competence center rappresentino il nucleo più importante della riforma, quello destinato a restare nel tempo. La struttura di base dell’innovazione che verrà.
Per questo è importante che il processo si avvii in maniera solida e strutturata, che oltrepassi lo scoglio degli interessi di parte e di una campagna elettorale in cui sentiamo parlare spesso, e spesso a sproposito, di cancellazione e di eliminazione di questo e di quello, dal Jobs Act alla legge Fornero. Invece, e non solo perché ce lo chiedono le istituzioni internazionali e la Ue, ci sarebbe bisogno di continuare il processo riformatore avviato negli ultimi anni ma ancora lontano dall’essere completato. Dai nuovi modelli di contratto alla formazione, dagli istituti tecnici all’Università i capitoli da completare o da scrivere sono ancora molti e decisivi per lo sviluppo e la crescita. Il Manifesto ne indica la strada. La buona politica – con il contributo che deve tornare a essere centrale dei corpi intermedi – deve continuare a percorrerla con perseveranza e pazienza.