Con ogni probabilità il giorno da tenere d’occhio è il primo aprile, ma stavolta nonè uno scherzo. Attorno a quella data, sia prima che dopo, molto nel modo di operare delle banche in Italia e in tutta l’area euro è destinato a cambiare, perché stanno arrivandole nuove regole della Banca centrale europea. Non solo quelle, per la precisione, perché stanno per scattare anche le nuove indicazioni proposte dalla Commissione europea, anche se per queste ultime l’evoluzione sarà più graduale. Le pubblicazioni sono previste, con una scelta di tempo non casuale, dopo le elezioni italiane. Nella settimana centrale di marzo prima la Commissione Ue, e subito dopo la Bce, presenteranno le loro iniziative riguardo alle regole sul capitale delle banche in relazione al trattamento dei crediti deteriorati.
L’esecutivo di Bruxelles, che ha potere d’iniziativa legislativa, si concentrerà sul patrimonio di «primo pilastro» (ossia il livello minimo di base di capitale, obbligatorio per legge per tutti gli istituti di credito). La banca centrale invece si concentrerà sul patrimonio di «secondo pilastro», cioè i cuscinetti di capitale in più richiesti dal regolatore a ciascuna banca in relazione alla sua situazione; in quest’ultimo caso l’indicazione della Bce è formalmente «non vincolante», ma nella sostanza lo è perché nessuna azienda di credito in Europa avrebbe la credibilità per operare senza rispettare le indicazioni della vigilanza di Francoforte. La sfumatura fra primo e secondo pilastro, fra requisiti di legge (indicati dalla Commissione Ue) e requisiti supplementari ma «non vincolanti» (indicati ad hoc dalla Bce) ha comunque un’importanza decisiva: permette infatti alla banca centrale di aggirare le contestazioni del Parlamento europeo, secondo il quale Francoforte non può arrogarsi un potere legislativo riguardo al patrimonio delle banche. Ma ora il Meccanismo unico di vigilanza, guidato dalla francese Danièle Nouy, è su un terreno più solido proprio perché si concentra solo sul patrimonio supplementare indicato ad hoc per ciascuna banca.
Dunque ci siamo, le nuove regole e il famoso Addendum stanno per scattare. Sulle regole di «primo pilastro» della Commissione Ue, la transizione sarà più morbida perché riguarda il trattamento dei crediti deteriorati che emergeranno dai nuovi prestiti estesi dalle banche dal momento in cui entreranno in vigore le regole. In questo caso, solo per quegli impieghi, gli istituti dovranno svalutare a zero in sette (o otto) anni tutte le esposizioni problematiche anche se coperte da garanzie reali e dovranno accantonare nuove riserve di capitale di conseguenza. Le svalutazioni saranno graduali, ma in proporzioni crescenti negli anni. Nel caso di prestiti non garantiti invece le svalutazioni a zero e la relativa ricostruzione di riserve di capitale dovrà avvenire entro due anni. Ma naturalmente sempre e solo in relazione a problemi emersi da nuovi crediti deliberati in futuro.
Simile ma più stringente il meccanismo di «secondo pilastro», quello che verrà proposto dalla Bce. È in questo caso che la data del primo aprile 2018 diventa — salvo cambiamenti imprevedibili — un discrimine decisivo. La Bce infatti chiederà alle banche di svalutare a zero e accantonare riserve di conseguenza i crediti che diventano deteriorati dal primo aprile in poi, anche relativi a prestiti emessi in passato e oggi già esistenti. Per quelli sostenuti da garanzie, il calendario della svalutazione fino a zero dovrebbe dispiegarsi in sette anni (al massimo otto, ma sembra meno probabile); invece per le posizioni non garantite da beni reali la svalutazione a zero deve avvenire in due anni Dunque a tappe forzate. La prima conseguenza di questa svolta è immediata: le banche hanno un incentivo potente a iscrivere fra i crediti deteriorati subito anche posizioni difficili che, fino ad oggi, avrebbero comunque tenuto in bonis. Farlo adesso costerebbe di meno in termini di capitale, perché le svalutazioni non sarebbero comunque soggette ai nuovi vincoli più stringenti
È dunque possibile che in questo primo trimestre 2018 assisteremo a un rialzo dei crediti problematici. Ma le conseguenze dopo il primo aprile saranno ancora più profonde. Si tratta di capire dunque quale sarà l’impatto sul credito in Italia e soprattutto sui milioni di microimprese che usano il fido bancario (senza garanzia) come fonte di liquidità circolante. Andrea Filtri, analista di Mediobanca Securities a Londra, è convinto che il sistema produttivo pulviscolare tipico dell’Italia non sia pronto per la trasformazione in arrivo. A suo avviso infatti le banche diverranno molto più riluttanti a concedere prestiti non garantiti. Camillo Venesio, numero uno di Banca del Piemonte e vicepresidente dell’Abi per le piccole banche specializzate nel rapporto con le microimprese, è d’accordo con Filtri: «L’Addendum aggiunge qualcosa — dice —. Ma è solo uno degli elementi regolatori che stanno rendendo più difficile il prestito alle imprese più deboli». Queste nuove regole, aggiunge Venesio, «potrebbero finire per cambiare le caratteristiche strutturali dell’economia italiana». Anche su questo Filtri di Mediobanca è d’accordo, ma non si nasconde che sarà un percorso accidentato: «Servono dimensioni più ampie delle imprese, maggiori garanzie sui prestiti, in ultima analisi un cambio di modello nella nostra economia». Facile a dirsi ma necessario da farsi. A partire da meno di un mese dopo le prossime elezioni.