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Da alcuni decenni la bioingegneria applica gli strumenti tipici dell’ingegneria alla medicina, alla fisiologia, alla biologia e, in generale, alle scienze della vita. Questa disciplina ha quindi sviluppato tutte quelle tecnologie e metodologie che ci consentono di acquisire dati fisiologici (tramite sensori e altra strumentazione), estrarne le informazioni di interesse (tramite metodiche di elaborazione di segnali e immagini e loro classificazione), interpretarle in forma sintetica (tramite modelli quantitativi applicabili ai sistemi fisiologici in esame) per poi renderle utilizzabili da parte del clinico, del fisiologo e del biologo molecolare.
Questo approccio quantitativo ha coinvolto anche discipline che tradizionalmente si basavano su osservazioni prevalentemente qualitative, quali la psicologia e lo studio delle emozioni e dei comportamenti umani, portando alla nascita del cosiddetto affective computing, volto a integrare nello strumento l’aspetto emotivo che i diversi contesti d’uso possono indurre negli utenti, inducendoli a decisioni e comportamenti differenti.
Lo sviluppo tecnologico ha inoltre messo a disposizione dispositivi hardware e strumenti di calcolo sempre meno invasivi e intrusivi, portando alla realizzazione di una strumentazione indossabile o integrabile nell’ambiente, che ha reso minima l’interferenza con la vita quotidiana del soggetto in esame e consentito così l’osservazione anche durante lo svolgimento delle normali attività. Osservazione e misura hanno potuto così uscire dall’ambiente controllato del laboratorio ed estendersi ad ambienti naturali, permettendo l’esame di aspetti altrimenti non osservabili.
In questo contesto si inserisce anche il neuromarketing, che tende a coniugare le discipline tipiche delle neuroscienze con applicazioni in ambito socio-economico. In pratica si cerca di individuare, con tecniche quantitative, sulla base di misure neurologiche, le risposte cognitive e affettive che un prodotto, un brand, un messaggio pubblicitario o la fruizione di un servizio possono suscitare in un utilizzatore per prevederne il comportamento. Il sistema nervoso costituisce l’interfaccia tra il soggetto e il mondo esterno. Infatti tramite gli apparati neurosensoriali, convoglia gli stimoli esterni verso il cervello, che elabora l’informazione ricevuta in termini di percezioni, sensazioni, contenuti cognitivi ed emozionali e determina le reazioni – siano queste consce o inconsce – chiaramente visibili, quali le risposte motorie, o non direttamente percepibili dall’esterno, quali le variazioni della frequenza cardiaca o l’intensità della sudorazione. Le neuroscienze studiano da anni questi complessi fenomeni e, anche grazie al notevole avanzamento della tecnologia, hanno potuto mettere in luce alcuni di tali meccanismi descrivendo i fenomeni e riuscendo a quantificarne l’intensità. In particolare, l’avvento del neuroimaging funzionale ha consentito di individuare specifiche aree e reti cerebrali coinvolte nel processamento cognitivo ed emozionale delle informazioni sensoriali. Tutta- via è utile rimarcare come le metodologie e la strumentazione tipica degli studi nell’ambito delle neuroscienze spesso poco si prestino ad applicazioni in ambito di marketing, dove sono di primaria importanza la facilità d’uso, la non invasività, la possibilità di ricreare situazioni che siano il più possibile simili alle condizioni reali.
È in questo senso di fondamentale importanza il fatto che vengano effettuate ben precise scelte relative a: i) i segnali e i parametri fisiologici da misurare; ii) i sensori non «intrusivi» che possono essere utilizzati; iii) le metodologie di elaborazione e classificazione dei dati; iv) i modelli interpretativi più idonei. Il ruolo del bioingegnere in questo settore è fonda- mentale, in quanto la conoscenza maturata in ambito clinico e di ricerca permette di individuare tecnologie, metodologie e protocolli più idonei a questa specifica applicazione, soprattutto con una particolare attenzione alla qualità dei dati acquisiti e alla loro effettiva affidabilità anche in relazione alla tipologia dei sensori e della strumentazione utilizzata. Bisogna infatti ricordare che sia in ambiente di laboratorio sia nel mondo reale, dove molte rilevazioni vengono concretamente effettuate, le misure dei parametri fisiologici non possono avere la qualità o il dettaglio delle misure ottenute con strumentazione estremamente più sofisticata e costosa e in un ambiente perfettamente controllato, quale un laboratorio di indagini clini- che. La necessità di ricreare situazioni in cui il soggetto si trovi in una condizione e in un ambiente che sia il più naturale possibile necessariamente riduce la scelta della strumentazione utilizzabile. Per tali scopi, sicura- mente il sistema nervoso centrale non potrà essere indagato, per esempio, mediante monitoraggio di grandezze derivate dalla Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI), ma sarà più opportuno utilizzare il segnale rilevato tramite elettroencefalografia (EEG). Invece della strumentazione di laboratorio si opterà per strumentazione di tipo indossabile, e così via.
Per quanto questo possa a prima vista sembrare una limitazione, in realtà l’uso corretto dei sensori e, soprattutto, l’uso di strumenti di elaborazione idonei e l’impiego di opportuni modelli interpretativi, basati su solide conoscenze fisiologiche e tecniche, permettono di ottenere risultati di ottima qualità. In particolare, diventa di primaria importanza la possibilità di integrare informazioni provenienti da diverse sorgenti: parametri ottenuti da numerosi canali di segnale EEG, la frequenza cardiaca misurata per ogni singolo battito e le sue variazioni, la frequenza respiratoria, la sudorazione cutanea, la direzione dello sguardo, le espressioni facciali ecc. Opportuna- mente misurati e integrati tra loro, questi parametri permettono di stimare con ragionevole robustezza e affidabilità lo stato del soggetto in esame in riferimento al livello di attenzione e di coinvolgimento emotivo rispetto a diverse tipologie di stimolazioni ed esperienze. Il campo di indagine quindi non si limita più strettamente al sistema nervoso centrale, o al sistema nervoso autonomo, ma si estende a tutta una serie di dati e segnali fisiologici che contribuiscono a una migliore e più completa informazione. In questo senso, avviene il superamento del concetto di neuromarketing, inteso come analisi puramente neurologica, verso discipline più olistiche che integrano tali misurazioni con dati biometrici e percettivi dell’individuo.
*Brano tratto dal libro “Biomarketing. Non solo big data: battito cardiaco, respiro e movimenti oculari per rivelare preferenze e scelte del consumatore” (Egea) di Giuliano Noci.