Si fa ma non si dice. Si moltiplicano gli accordi aziendali che derogano alla stretta sui contratti a termine introdotta dal decreto Dignità. Firmati dai sindacati confederali. Cgil compresa. Da una parte le aziende ottengono un allungamento dei contratti a termine oltre il limite dei due anni stabilito dalla legge. Insieme con l’esonero dalla specificazione delle causali. Dall’altra i sindacati hanno in contropartita la stabilizzazione di una quota di contrattisti che varia da azienda ad azienda.
Gli accordi non hanno pubblicità perché, per stipularli, bisogna utilizzare l’articolo 8 del decreto legge 138/2011. La norma, poi convertita in legge, era stata introdotta dall’allora ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. E da subito ha suscitato l’opposizione del sindacato, in particolare della Cgil. Anche perché nel 2011 venne utilizzata da Fca e in alcuni casi per derogare allo Statuto dei lavoratori. L’ostilità è rimasta. La Fiom, in particolare, a metà maggio ha inviato una comunicazione scritta alle territoriali di Confindustria in cui si ricorda che «con l’ultimo congresso nazionale la Fiom ha confermato la scelta di contrastare l’utilizzo dell’articolo 8 e di chiederne l’abrogazione». Nonostante tutto ciò, oggi l’articolo 8 è diventato il grimaldello che permette di scardinare la legge Dignità.
La prima azienda a firmare un accordo che aggira la stretta sui contratti a termine del governo gialloverde è stata la Fiocchi di Lecco (produzione di armi). Ma ora, sottotraccia, la lista si sta allungando: dalla Philip Morris di Bologna agli Acciai speciali di Cogne, in Valle D’Aosta. Stesso discorso alla Epta delle famiglia Nocivelli, società specializzata nelle refrigerazione industriale, mille dipendenti in provincia di Belluno. E poi la Honda di Atessa, in provincia di Chieti. Alla multinazionale tedesca Aurubis di Pianodardine, in Irpinia. Al gruppo Glm di Castelnuovo, in provincia di Teramo (componenti per l’automotive). Fin qui il settore metalmeccanico. Più rari i casi nel chimico. Mentre non mancano gli accordi nella grande distribuzione e nel settore bancario: alla Genertel, assicurazione online del gruppo Generali, per esempio, oltre che alla Alleanza assicurazioni.
L’elenco potrebbe continuare. Se non fosse che molti casi vengono taciuti.Spiega bene il punto di vista del sindacato Ivana Veronese della segreteria Uil: «Sia chiaro, condividiamo l’intento del decreto Dignità, cioè quello di favorire i contratti a tempo indeterminato. Il problema è che è stato scritto male. Le causali sono talmente complesse che spesso impediscono il rinnovo dei contratti a termine anche dopo un solo anno. E così qualcuno viene lasciato a casa prima di potersi giocare la carta della stabilizzazione. Con gli accordi aziendali si aggira l’ostacolo. Ma la strada maestra sarebbe una revisione della legge». Un paio di mesi fa il sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon aveva promesso un intervento di modifica sulla legge Dignità. Se ne riparlerà — equilibri nella maggioranza permettendo — dopo le elezioni