Carlo Cottarelli, 63 anni, già commissario alla spending review e prima ancora capo del dipartimento Politiche di bilancio al Fondo monetario internazionale, fa i conti con una realtà: la quiete, in apparenza, regna. Da quando hanno vinto le elezioni forze con programmi molto costosi, i rendimenti dei titoli di Stato non sono saliti, ma scesi, e così anche lo spread con i Bund tedeschi.
Dunque per il prossimo governo esistono margini per fare più deficit?
«Dal punto di vista delle regole europee, credo che la flessibilità sia stata utilizzata tutta».
Ma il disavanzo è molto sotto al 3%..
«Il punto non riguarda il deficit nominale al 3%. Riguarda l’obbligo che scenda a un certo ritmo il deficit strutturale, al netto delle fluttuazioni dell’economia e delle misure una tantum. Quanto al debito, anche quello deve scendere a una certa velocità. È per questo che non credo ci saranno concessi altri margini. Anzi un’applicazione rigorosa delle regole europee potrebbe portare a una richiesta di correzione di bilancio fra i 3 e i 5 miliardi già nel 2018».
Il 2017 ha conti migliori del previsto e la Commissione Ue potrebbe non avere voglia di chiedere una manovra a un parlamento che la respingerebbe, compattando tutti gli euro-scettici e euro-critici contro “Bruxelles”. Non pensa?
«Dai saldi relativamente positivi del 2017 resta da vedere se ci saranno riflessi quest’anno. Quanto a una manovra correttiva, mi pare che le regole europee la giustificherebbero. Anche se forse le ragioni politiche spingeranno in senso opposto. Tutti questi argomenti però non sfiorano la sostanza del problema, cioè la sostenibilità economica. È questa la questione centrale: con o senza regole europee, con questo o con un altro parlamento».
Da un punto di vista economico, lei che impressione ha?
«Che sono cinque anni che non migliora l’avanzo primario, cioè il saldo di bilancio prima di pagare gli interessi sul debito. Era all’1,9% del Pil nel 2012, è 1,9% nel 2017. Ora, nei programmi del governo uscente il prossimo anno l’avanzo primario dovrebbe salire al 2,6% e il deficit scendere allo 0,9% del Pil. Credo che quel piano vada rispettato. Anzi, avremmo dovuto cominciare prima. Già l’anno scorso la crescita dell’1,5% avrebbe permesso risultati di bilancio migliori».
Senta, i mercati sembrano tranquillissimi anche così. Non sta esagerando?
«Non mi aspettavo una reazione negativa dei mercati prima del voto e continuo a pensare che nei prossimi mesi i mercati resteranno calmi, se non arriva uno choc. Ma sa, gli choc possono arrivare in qualunque momento: dai nuovi dazi di Donald Trump, da problemi politici qui o in qualche altro Paese, da un attacco terroristico, da un aumento dei tassi della Federal Reserve, dalla fine dell’espansione americana dopo dieci anni o da una correzione dei prezzi sui mercati. Tutti questi fattori prima o poi genereranno una recessione: a livello mondiale, europeo o anche solo in Italia».
Saremmo in grado oggi di resistere a una recessione?
«Questo è il punto. Il ciclo economico si chiama così perché gira: oggi va bene, in futuro cambierà. Non sappiam o quando, se tra sei mesi o sei anni. Sappiamo che accadrà. Se non mettiamo in sicurezza i conti pubblici prima di questo choc, rischiamo di rivivere la situazione drammatica del 2011 e 2012».
Allora l’Italia non aveva avanzo primario, oggi sfiora il 2%. Non fa differenza?
«Guardi, l’esperienza ci dice che gli attacchi speculativi su un Paese avvengono quando il debito è alto e crescente. Non basta che sia alto, deve anche salire. E quando c’è una recessione, il debito comincia a crescere se prima non lo si è messo su un sentiero di riduzione di tre o 3,5 punti di Pil all’anno. In questo caso una recessione interrompe il calo del debito, ma non lo fa salire. Se in un anno il Pil calasse dell’1%, con avanzo primario al 4% del Pil, quello choc non basterebbe a far ripartire il debito. Invece con un avanzo del 2%, come oggi, non teniamo la scossa».
Dunque il surplus prima di pagare gli interessi andrebbe fatto salire di 2% di Pil, cioè di 34 miliardi, con altri sacrifici?
«Gradualmente. Una parte del miglioramento deriva dalla crescita. Si ripara il tetto quando fuori c’è il sole, farlo con la pioggia è molto più doloroso e nel 2012 ce ne siamo accorti… Si tratta di portare quel saldo dal 2% al 4% in tre anni. Tenga conto che già oggi è previsto al 3,3% nel 2020 dal governo uscente».
Già, con quasi 20 miliardi di aumenti Iva delle clausole di salvaguardia…
«Quelli sono stati messi per coprire i tagli a certe tasse, soprattutto sulle imprese, già decisi e in parte non ancora in vigore. Ma si può fare in altri modi».
Per esempio?
«Si congela la spesa primaria in termini reali, cioè al netto degli interessi sul debito e permettendo solo aumenti in linea con l’inflazione. E si evitano altri tagli alle tasse».
In parlamento esiste una maggioranza per fare queste cose?
«L’unica maggioranza in parlamento oggi è per far salire il deficit… ».
Eppure la tirano per la giacca come possibile ministro dell’Economia, no?
«I vincitori del 4 marzo hanno anche proposte positive per la crescita: lotta alla corruzione, eliminare la burocrazia, semplificare, rendere la giustizia più veloce. Non ne faccio questioni di nomi o schieramenti. Però se qualcuno chiede che io sia coinvolto, io chiedo: per fare cosa? Se per fare cose che secondo me sono sbagliate, allora ci sono tante altre persone. Anche perché c’è poco da scherzare».
Che intende dire?
«Lo spread sulla Germania è stabile, vero. Ma non verso altri Paesi più simili a noi. Ormai anche il Portogallo ci ha staccati. Noi adesso nell’area euro siamo gli ultimi dopo la Grecia, in termini di rendimenti dei titoli di Stato».