È una sorta di ultimatum, per qualcuno debole, perché non indica delle scadenze né un metodo di lavoro per il futuro, per le opposizioni fuori luogo, perché andava pronunciato in Parlamento e non a Palazzo Chigi, di fronte ai cronisti. Ma di fatto quello di ieri del presidente del Consiglio Giuseppe Conte è in ogni caso un aut aut rivolto sia al Movimento 5 Stelle che alla Lega: o vi rimettete a lavorare insieme, con rinnovata fiducia e collaborazione leale, o sono disposto a farmi da parte, «non mi presterò in nessun modo a vivacchiare o a galleggiare». Appello che al momento cade nel vuoto: niente intesa sullo sblocca cantieri, no all’emendamento leghista di stop per due anni al codice degli appalti.
L’avviso
Al messaggio centrale del suo discorso Conte — che sottolinea la «stima» al presidente Sergio Mattarella «per il sostegno e i consigli del quale mi ha voluto onorare» — arriva dopo un lungo preambolo, un bilancio positivo del primo anno di governo, quasi a reclamare uno spirito di squadra che c’è stato e si è sfilacciato e perso nel tempo, complici le elezioni. Poi chiede «una chiara presa di responsabilità» delle forze politiche. Ove non vi fosse, e «se i comportamenti non saranno trasparenti, rimetterò il mandato nelle mani del presidente della Repubblica».
Insomma Conte dice ciò che tutti attendevano, forse senza la determinazione che qualcuno si aspettava, ma con molta chiarezza. Lo spettro delle dimissioni significa con ogni probabilità scioglimento del Parlamento, elezioni a settembre, manovra economica in eredità ad un nuovo governo, ma questo scenario dal premier non viene nemmeno abbozzato: l’accenno alle dimissioni sembra fatto per scongiurarlo. E la sensazione è che il capo del governo sia convinto di poter andare avanti: «Mi sono determinato ad accettare l’incarico perché, pur consapevole di essere privo di una mia forza politica di sostegno, ho ritenuto di poter attingere all’articolo 95 della Costituzione e alle prerogative ivi indicate, che definiscono ruolo e poteri del premier». E subito dopo avverte: «Dobbiamo perseguire una politica di segno espansivo tenendo in ordine i conti».
Nella Costituzione non è prevista questa eterna, sfibrante, gara a primeggiare sui social. Per Conte ciò non ha nulla a che fare con un’azione seria di governo: provvedimenti che vanno varati «richiedono visione, coraggio, tempo, impongono di uscire dalla dimensione della campagna elettorale e entrare in una visione strategica e lungimirante, diversa dal collezionare like nella moderna agorà digitale. Purtroppo il clima elettorale non si è ancora spento, è un clima che non giova».
E non giova, prosegue il premier, né ai vinti né ai vincitori delle recenti elezioni europee. «La Lega ha riscosso un successo significativo e i 5 Stelle sono usciti penalizzati. Trattandosi di una consultazione europea non ha ricadute nella distribuzione delle forze nel nostro Parlamento, ma le forze politiche sono comunità e quindi i risultati provocano esaltazione nei vincitori e delusione negli sconfitti». E forse anche per questo del futuro non c’è certezza: «Non posso essere certo della durata del governo: non dipende solo da me».
Il capo del governo continua così, con un appello a un metodo diverso e a una serietà che si è smarrita per strada: «Personalmente resto disponibile a lavorare con la massima determinazione, ma non posso compiere questa scelta da solo. Le due forze politiche devono essere consapevoli del loro compito, se ciò non dovesse esserci non mi presterò a vivacchiare per prolungare la mia presenza. Chiedo quindi a entrambe le forze politiche a in particolare ai loro leader di operare una chiara scelta e di dirci se hanno intenzione di proseguire nello spirito del contratto».
Quella di Conte è anche un’analisi di quanto successo nelle ultime settimane di campagna elettorale, e di quanto sta continuando a succedere, la trasposizione dell’azione di governo in proclami pubblici e superficiali, in modo quotidiano, in un botta e risposta senza termine: «Il mio motto è sobri nelle parole e operosi nelle azioni. Se continuiamo nelle provocazioni per mezzo di veline quotidiane, nelle freddure a mezzo social, non possiamo lavorare. I perenni costanti conflitti comunicativi pregiudicano la concentrazione sul lavoro». Prosegue l’analisi, in questo modo: «Leale collaborazione è che ciascun ministro si concentri sulla propria materia senza prevaricare su scelte che non gli competono. Significa che se ci sono questioni politiche lo si dice rispettando la grammatica istituzionale, parlando in modo chiaro e non lanciando messaggi ambigui sui giornali».
«Sulla Tav c’è un contratto di governo. Poi c’è un metodo di lavoro: non ci si sveglia dall’oggi al domani e si dice si fa così. Siccome c’è un accordo e delle leggi del Parlamento molto responsabilmente ho parlato con Macron e poi mandato il mio ministro dal ministro francese. Un altro passaggio ci sarà a breve con la Commissione Ue. All’esito di queste conclusioni trarremo le fila. Se dovessi decidere oggi, non la trovo conveniente, ma io mi ritrovo in fase di attuazione: o trovo un’intesa con Francia e Commissione oppure il percorso è bello e segnato».
Nicola Zingaretti, segretario del Pd: «Conte vada in Parlamento a raccontare la crisi che ha evidenziato oggi e verifichi se ha ancora una maggioranza che lo sostiene alle Camere. La diretta Fb non basta». Silvio Berlusconi: «Aprendo di fatto una crisi, ha ammesso di non contare nulla, meglio si faccia da parte, siamo pronti ad elezioni anticipate che il centrodestra vincerebbe». Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia: «Siamo al gioco del cerino fra Conte, Salvini e Di Maio per vedere a chi affibbiare la responsabilità di far cadere il governo, prima della legge di Bilancio. Lo avevamo purtroppo previsto».