Non molto tempo fa Giuseppe Conte aveva preso l’abitudine di mandare dei messaggini a Jean-Claude Juncker. Il problema è che i cristalli liquidi da smartphone non fanno una manovra, e nemmeno un documento ufficiale. L’insofferenza del presidente della Commissione si manifestò con alcuni suoi commissari: l’Italia, a partire dal suo premier, non poteva pensare di impostare un negoziato con WhatsApp.
Ora non molto è cambiato e la Commissione, insieme al Comitato economico e finanziario (Efc) che raccoglie gli sherpa dei governi, aspetta di capire se dall’Italia arriverà qualcosa più solido di poche frasi digitate sul telefono. Che da Roma servano atti concreti, e in fretta, lo si intuisce da due passaggi della dichiarazione che ieri pomeriggio i capi del Tesoro dei 28 Paesi hanno inviato ai loro ministri senza pubblicarla. Nel primo l’Efc invita l’Italia ad «adottare le misure necessarie ad assicurare il rispetto del Patto di stabilità» sulla base della procedura europea. Nel secondo — unica, residua apertura al governo — si dice che l’Italia «potrà presentare nuovi elementi che potranno essere valutati».
È il segnale che Bruxelles non cercherà di rinegoziare con l’Italia ma sarebbe ancora possibile mettere in freezer la procedura fino all’autunno se da Roma arrivassero segnali credibili. Sul primo Giovanni Tria sta insistendo con Salvini e Di Maio e riguarda le dichiarazioni: il ministro dell’Economia chiede che smettano le uscite sull’idea di superare il 3% di deficit-Pil, sui mini Bot, sugli aumenti Iva da cancellare in ogni caso o su una costosissima flat tax senza coperture. Occorre poi un impegno del governo a usare a riduzione del deficit tutti i risparmi o il gettito in più dall’esecuzione del bilancio 2019, a partire da quelli su reddito di cittadinanza e pensioni. Soprattutto, da Roma serve un’indicazione nutrita di qualche dettaglio sul fatto che nel 2020 l’Italia correggerà la rotta del disavanzo.
Bruxelles ha bisogno di documenti formali, una risoluzione del Parlamento o una lettera del governo; in questo caso però firmata anche da Di Maio e Salvini con Conte. Questa è la novità politica che arriva oggi dall’Ue: la richiesta che per la prima volta i leader politici del Paese siano coinvolti e si prendano una responsabilità personale degli impegni dell’Italia a Bruxelles. Senza i quali, avanzerebbe una procedura che in luglio prevede un ulteriore rapporto della Commissione: lì dentro sarebbe disegnato un piano di rientro del debito anno dopo anno, con la prima manovra da attuare già entro sei mesi.
Ma il problema ulteriore è proprio l’impostazione della manovra. E la delega di cui potranno godere sia Conte che Tria nel corso dei negoziati. Oggi a Palazzo Chigi si siederanno di fronte ai tecnici del Mef anche gli esperti economici della Lega e del Movimento. C’è dunque una sorta di cordone politico che si sta formando, con l’intento di non lasciare solo al profilo istituzionale, dunque al premier e al ministro, la responsabilità di impostare la manovra e spiegarla a Bruxelles.
Non per nulla ieri Conte ha ribadito che «io sono il presidente del Consiglio e che non c’è alcun problema di delega». Una smentita che non ha affatto convinto la platea e che è in qualche modo contraddetta dal fatto che i tecnici della Lega si vedranno oggi con quelli del Mef.
Nessuno sa quale sarà il punto di caduta finale, ma già al Mef si parla di tagliare di almeno dell’1 o del 2% la spesa pubblica, il che equivarrebbe a trovare circa 17 miliardi euro per finanziare o la sterilizzazione della clausola dell’Iva o il taglio delle tasse. Ai quali andrebbero aggiunti almeno 4 miliardi di euro di minori spese e accantonamenti con la precedente manovra.
Del resto ieri mentre Conte diceva che Salvini e Di Maio sono convintissimi che vada evitata una procedura, Salvini ribadiva che la prossima manovra avrà una corposa parte nel taglio fiscale, e lo stesso Conte aderiva al concetto dicendo che la prossima legge di bilancio smentirà le precedenti, sarà espansiva, «perché abbiamo una mandato a far crescere il Paese». Rispondendo per la rime alle parole di Juncker: «Con lui ho un rapporto amicale e leale ma quando dice che sbagliamo direzione posso dire all’amico che ha sbagliato anche lui direzione con la Grecia».