«Un altro consiglio dei ministri per approvare la Finanziaria? L’intesa politica è chiusa». Giuseppe Conte è nella saletta della delegazione italiana al quinto piano del palazzo che ospita il Consiglio europeo. Visibilmente stanco, si prende una pausa dalla riunione dei leader. Ironia della sorte, parla di conti pubblici seduto sotto un’enorme tela che raffigura un assegno Western Union. Preso fra il dossier curdo e un bilaterale con Emmanuel Macron, dice di non aver avuto tempo di leggere dei malumori di Luigi Di Maio e dei Cinque Stelle sul compromesso trovato due giorni prima in consiglio dei ministri sul tetto al contante e le misure antievasione. Anzi. Rivendica l’impostazione e promette di usare tutte le nuove entrate per una riforma dell’Irpef. Vorrebbe «entro la fine della legislatura» accorpare le due aliquote oggi al ventritré e al ventisette per cento in un’unica al venti. Visti i precedenti, evita gli slogan su quanti scaglioni dovrebbero rimanere.
Poche ore prima da Washington Di Maio aveva annunciato un nuovo consiglio dei ministri sulla legge di bilancio per lunedì. Un modo esplicito per sottolineare la richiesta di rivedere un po’ di cose. Conte non si scompone: «Abbiamo votato il testo con la formula salvo intese. Quella formula ci consente di ricontrollare i testi normativi, ma la manovra è approvata». La strategia della strana coppia Renzi-Di Maio ormai è collaudata: marcia unita dentro le stanze, quando c’è da ammorbidire i passaggi più impopolari della Finanziaria, si fa concorrenza un minuto dopo nelle piazze. E così la notizia di una resistenza di Italia Viva ad una soglia del contante a mille euro si trasforma in una gara al rialzo per i Cinque Stelle. «Sulla soglia del contante non si riapre la manovra. Stiamo parlando di un tassello di una cosa molto più grande contro l’evasione fiscale», spiega il premier. «Il nostro piano contro l’uso del contante orienta il comportamento dei cittadini, fa emergere l’economia sommersa ed evita alle banche costi enormi», spesso scaricati sui clienti. «E poi stava nel programma di governo». Conte non vuole credere alle ricostruzioni secondo le quali nel Movimento c’è chi parla di un «regalo alle banche». «E’ stato il governo a porsi il problema di far scendere le commissioni bancarie. Non vorrei si sviluppasse una psicosi da rami sospesi nel vuoto». Se poi «il Movimento fa osservazioni, possiamo ancora affinare qualche dettaglio». Di Maio ad esempio è contrario a stringere le maglie della flat tax al quindici per cento fino a 65mila euro. Conte qui si mostra disponibile: «Lasciare quell’aliquota è un costo sul piano sociale. Ma su questo punto possiamo fare miglioramenti».
Ciò detto, il premier non è intenzionato a farsi smontare il lavoro fatto e la mediazione raggiunta. «In Consiglio dei ministri non sono mancate le divergenze, eppure il clima è sempre stato ottimo. E’ noto ad esempio che io avrei portato subito il limite del contante a mille euro, ma non mi pare un aspetto dirimente. Un segnale occorreva darlo». Il tetto intermedio dei duemila euro – che resterà fino al 2022 – «non è tale da compromettere il lavoro degli artigiani o dei commercianti. Oltre una certa cifra nessuno penserà mai di comprare una casa o un’auto con le banconote. O no?».
Il professore si mostra sicuro di sé, convinto che la prospettiva del governo sia di legislatura. Nega che il voto in Umbria sarà un test elettorale, né sembra preoccupato dall’eventuale successo della manifestazione di domenica della Lega. Si allunga ancora un po’ sulla poltroncina in pelle bianca. Scartabella il faldone di appunti e dossier. «L’eco agostano delle elezioni è lontano. Siamo tutti coinvolti in questo progetto». Prossimo passo, la riforma fiscale. «Stiamo facendo simulazioni, ma l’obiettivo a cui ambiamo è una semplificazione delle prime due aliquote al ventritré e ventisette per cento in un’unica al venti». Poiché nel 2021 c’è ancora da disattivare diciotto miliardi di euro di aumenti Iva, precisa che quell’obiettivo si può realizzare «entro la fine della legislatura». Promette «una task force» per studiare la riforma e l’importanza di fare passi avanti anche sulla giustizia tributaria. Occorre «dare certezze» a chi investe: «Non si può attendere dieci anni per una sentenza». E chi attende di sapere quanti soldi in più avrà a luglio con il taglio del cuneo fiscale dovrà aver pazienza. Certamente non si deciderà in questi giorni, e forse nemmeno in Parlamento. Il premier fa capire che la decisione potrebbe arrivare con un provvedimento ad hoc nei primi mesi dell’anno, come si fece con il reddito di cittadinanza: «C’è tutto il tempo per decidere. L’importante sarà essere pronti alla sc