Dopo una maratona negoziale di oltre 18 ore, cominciata domenica sera e terminata ieri poco prima di pranzo, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è forse tra i pochi leader europei a non sembrare dispiaciuto che il Consiglio europeo sia stato interrotto. Anzi, si spende nello spiegare tutti i motivi che, secondo lui, hanno reso impossibile arrivare ieri all’accordo sulle nomine dei vertici delle istituzioni europee. Motivi dei quali Conte, del resto, si era fatto portavoce (a nome di una decina di Paesi, molti dell’Est, contrari al pacchetto proposto dall’asse Merkel-Macron) nel suo discorso prima che il vertice venisse interrotto e aggiornato a oggi alle 11. «Cari colleghi — aveva esordito —, vi rivolgo un accorato appello, state commettendo un madornale errore. Se insistete su questo pacchetto di nomine senza tener conto delle nostre richieste, non mancate di rispetto a me Giuseppe Conte, ma a tutti i milioni di cittadini che io rappresento e a tutti i milioni di cittadini degli altri Paesi che in questo momento non sono parte di questo accordo».
Conte, contrario al pacchetto di nomi concordato dall’asse franco-tedesco che voleva l’olandese Frans Timmermans alla guida della Commissione, ha messo in guardia i suoi colleghi: «Potete pensare di offrire un governo condiviso e adeguato di questa nostra casa comune europea per i prossimi cinque anni muovendo da questa divisione iniziale? Pensateci bene perché così non fate altro che soffiare sull’antieuropeismo». A ieri, dunque, Conte l’ha spuntata, ma i giochi decisivi sono cominciati subito dopo, in vista della riunione di oggi.
Il premier spiega di non avercela con Timmermans, ma con il metodo di imporre nomine concordate tra alcuni leader all’esterno delle sedi proprie delle istituzioni europee. Una linea decisa in autonomia, replica lo stesso Conte a chi lo accusa di essere eterodiretto dal leader della Lega, Matteo Salvini, anche se nella lunga notte di Bruxelles il premier è rimasto in continuo contatto telefonico con i due vice. Racconta il premier: «Prima di partire domenica, ho fatto un punto chiamando Di Maio e Salvini e ho spiegato loro che mi sarei riservato di valutare il nome di Timmermans. Ho detto a Salvini chiaramente che il suo no a Timmermans era sbagliato, perché Timmermans è persona di valore, che ha studiato in Italia e che ha buone aperture in materia di politica economica. E che quindi non serviva un veto ma piuttosto un atteggiamento di dialogo costruttivo». Se il premier ha fatto bene i suoi conti lo si capirà oggi. E non solo in base all’esito della trattativa sulle nomine, ma anche in base a come finirà il negoziato per evitare la procedura d’infrazione per eccesso di debito. Non a caso Conte è partito subito per Roma, dove ha riunito il Consiglio dei ministri per approvare l’assestamento di bilancio che dovrebbe scongiurare la procedura. Oggi questi documenti arriveranno a Bruxelles, anche se la riunione della Commissione che doveva decidere sempre oggi se proporre o meno l’apertura della procedura all’Ecofin del 9 luglio è slittata e dovrebbe tenersi domani. Oggi, invece, la scena sarà di nuovo occupata dal Consiglio europeo sulle nomine. Si spera in un clima meno teso.
A differenza di quello respirato ieri, almeno stando al racconto dello stesso Conte. «Mi sono ritrovato davanti l’arroganza dell’asse franco-tedesco con l’Olanda. Allora ho ricordato che l’Europa è a 28 e non a due. Ho sempre avuto una posizione diversa da Visegrád — sostiene il premier —. A loro interessava solo affossare Timmermans, a me no. Per me era una questione di principio e di metodo, e di rispetto non solo del ruolo dell’Italia, ma del consiglio. Su questa posizione sono riuscito a portare gli altri che già erano contrari, costruendo un fronte di 11 Paesi. La resistenza franco-tedesca ha cominciato a vacillare, il mio appello ha fatto il resto». Ma oggi è chiaro che nessuno potrà accontentarsi di questo e bisognerà uscire dallo stallo. I conti si faranno alla fine sull’insieme delle tre partite che l’Italia ha in corso con l’Ue: le nomina dei vertici; il commissario che sarà assegnato a nostro Paese; la procedura d’infrazione.