Tre ore di conferenza stampa, 38 domande e l’impressione di un presidente del Consiglio abile nel destreggiarsi, cresciuto politicamente, concentrato sul presente ma con un occhio puntato sul suo futuro politico. Giuseppe Conte schiva molte mine, rilancia dopo l’abbandono del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, inciampa sulla «complicità» con Matteo Salvini nelle scelte sulla nave Gregoretti («Devo rivedere gli appunti») e attacca il leghista con toni duri. Dopo «lo sprint a ostacoli per mettere il Paese in sicurezza, spiega il premier, ora ci tocca una maratona di tre anni, non a passo lento». Si tratta di ripartire dai 29 punti, ma «li potremmo arricchire, aggiungerne qualcuno, o accantonarne altri». Poi lancia «un appello a lavorare insieme» ai partner di governo. Seguono due messaggi, per il Pd e per il Movimento 5 Stelle. Ai dem, irrequieti per l’entrata in vigore della prescrizione, Conte promette che si lavorerà per ottenere «un’abbreviazione dei tempi della giustizia»: «Siamo molto ambiziosi su questo». Il secondo messaggio è verso i 5 Stelle, quando dice che «spero ormai che sia chiaro a tutti che una procedura di infrazione dell’Europa ci farebbe molto male». L’unica ricetta, spiega, e anche qui Luigi Di Maio (che parla praticamente solo di «grandi evasori») non sarà contentissimo, è «combattere l’evasione fiscale». Poi arriva un messaggio per tutti i partner, con in testa Italia viva e M5S: «Nessuna forza politica alimenta i consensi con le polemiche. I distinguo non ci fanno bene. La politica non ha bisogno di conflitti». E, avverte, se si va a casa, si avranno conseguenze nelle urne, per tutti.
Conte sfodera subito l’asso nella manica, preannunciato al Quirinale, che ha condiviso la scelta: al posto di un ministro ne nomina due. Uno alla Scuola, la 5 Stelle Lucia Azzolina, e l’altro alla Ricerca e Università, Gaetano Manfredi, più vicino al mondo dem, nonché presidente dei rettori. Un modo per sottolineare l’impegno per il settore, rinforzato dall’annuncio della nascita dell’Agenzia nazionale per la ricerca. Conte spiega che starà al fianco di Manfredi per un mese, per una «ricognizione» del settore».
L’annunciato piano per il Mezzogiorno, atteso entro fine 2019, slitta a gennaio. Tra i punti, l’obbligo di destinare «a priori» il 34% della spesa pubblica al Sud. Va modernizzato, spiega ancora il presidente del Consiglio, il sistema infrastrutturale e «dobbiamo lavorare per incentivare il lavoro». Sul fisco l’obiettivo ora è «abbassare la pressione rimodulando gli scaglioni Irpef a particolare vantaggio della classe media». Ma non basta. «Se non vogliamo mandare il Paese in bancarotta e non vogliamo esporre il Paese a una procedura di infrazione, dobbiamo lavorare in modo serio e credibile e l’unica prospettiva seria e credibile è lottare contro l’evasione fiscale». Sulla Libia «l’obiettivo immediato è la cessazione delle ostilità, quello successivo è sedersi al tavolo. Per questo appoggiamo l’iniziativa di Berlino e per questo cerchiamo di dissuadere tutti coloro che sostengono l’utilizzo delle armi, in primis i libici».
Il premier si tiene lontano da quella che definisce «la retorica del partito contiano»: «Non ho velleità, non è nelle mie corde e la frammentazione non fa bene al governo». Di più: «Faccio un pubblico appello ai parlamentari: restate dove siete, non alimentate passaggi». Alla domanda su un ipotetico Conte ter, risponde netto: «Per carità. Se non c’è l’impegno di tutti ce ne andremo. Ma sarebbe una sconfitta che si pagherebbe alle urne. Non vedo altri governi, ma è una scelta del Quirinale». Che fare con le aziende in crisi? Nazionalizzare? Conte è cauto: «La soluzione preferibile è il mercato, ma un intervento pubblico, mirato, specifico, può essere strategico. Ma no a dirigismi economici. Quanto al caso della Popolare di Bari nega di aver mai «interloquito» con i vertici. E aggiunge: «Non è un salvataggio, ma un sostegno dello Stato». Su Autostrade per l’Italia e le concessioni, spiega «non faremo sconti».
Nega che lo stop alla prescrizione sia «un obbrobrio giuridico». Però aggiunge: «Servono garanzie per una durata ragionevole del processo». Più difficile destreggiarsi sui decreti sicurezza e sulla discontinuità. Prova a difendersi dicendo che il decreto sicurezza II è stato cambiato in sede di conversione e che ora si interverrà per seguire le indicazione arrivate dal Quirinale. Spiega di essere sempre stato contrario alla logica dei porti chiusi. Rivendica l’aumento dei ricollocamenti. Gli si ricorda che era premier in quel governo. Sulla questione della nave Gregoretti, Matteo Salvini lo chiama in ballo e dice che la scelta per la quale è a processo fu condivisa. Conte se ne esce con una frase paradossale: «Verificherò il ruolo che ho svolto. Non ho ancora riscontri sul mio coinvolgimento». Poi attacca: «La Lega è pienamente legittimata a partecipare al gioco democratico. Ma il modo in cui Salvini interpreta la sua leadership è insidioso, perché si ritiene sciolto da vincoli e chiede pieni poteri». Pronta la risposta dell’ex ministro: «Con Conte più sbarchi, più tasse, più poltrone e più balle». Su eutanasia, legalizzazione delle droghe e ius culturae non c’è nulla in vista. Conte, un po’ nervosamente, spiega che non è intenzionato a intervenire direttamente su questi dossier: «Se non c’è una maturazione tra le forze parlamentari mi pare improprio che il governo imponga delle soluzioni».