«Attenzione a sfidare la Commissione europea sulla procedura di infrazione per debito eccessivo. Se viene aperta davvero, farà male all’Italia. Non è tanto e solo questione di multa. Ci assoggetterà a controlli e verifiche per anni. Con il risultato di compromettere la nostra sovranità in campo economico: una bella eterogenesi dei fini, per questo governo che è geloso custode dell’interesse nazionale. Senza considerare che potrebbero essere messi a rischio i risparmi degli italiani…». Giuseppe Conte si prepara al vertice di questa sera con i suoi vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Forse ne sarà necessario un altro, o altri due. «Dedicheremo a questo passaggio tutto il tempo necessario», assicura il presidente del Consiglio.
Ma dalle sue parole si avverte una preoccupazione che rispetto a una settimana fa, quando pose agli alleati le sue condizioni in una conferenza stampa postelettorale, non sembra affatto diminuita. «Confido che la mia conferenza sia stata vissuta in modo costruttivo …», sostiene. «Non vorrei che una Lega forte del risultato della consultazione europea si lasciasse prendere da prospettive di predominio, e assumesse via via atteggiamenti sempre più strumentali». Riaffiora, più marcato, il profilo del leader leghista che mette un’ipoteca corposa su Palazzo Chigi. «La composizione del nostro Parlamento non è cambiata», risponde Conte. «Se la Lega aspira a capitalizzare un consenso politico in un sistema fondato sulla democrazia parlamentare come il nostro, non può che passare da elezioni politiche. Insomma deve assumersi la responsabilità di chiedere nuove elezioni politiche e poi vincerle. Le Europee hanno una logica e prospettive diverse …».
In realtà, la sua analisi fotografa una confusione strategica della maggioranza, che le ultime settimane non hanno contribuito a chiarire. L’unica cosa che il premier percepisce, è un certo fastidio per il ruolo nuovo, politico, impostogli dalla situazione. «Forse il fastidio nasce dal fatto che ho intercettato la voglia del Paese di uscire da queste diatribe continue. O forse perché cerco di additare gli interessi generali. È singolare che in campagna elettorale mi dessero del grillino, schierato con Di Maio. Adesso mi accusano di essere “mattarelliano”. Tra l’altro, essere in sintonia col capo dello Stato è un onore».
Il problema non è che lo si dica, ma che lo si faccia polemicamente. «Ci sono veline che diffondono questa tesi in senso deteriore, raffigurandomi come una sorta di novello Mario Monti: un tecnocrate che vuole uccidere il contratto perché non vuole approvare i mini-Bot». È l’ultimo, sciagurato cavallo di battaglia della Lega: uno strumento già stroncato dallo stesso presidente della Bce, Mario Draghi: o moneta illegale o moltiplicatore del debito. Conte è un po’ meno tagliente, ma la sua contrarietà è evidente. «È una proposta mai portata a Palazzo Chigi. E siccome ha implicazioni di sistema, mi aspettavo che correttamente mi fosse portata per esaminarne insieme aspetti e contenuti».
Per il capo del governo, accelerare sui pagamenti della Pubblica amministrazione in favore dei creditori «è un obiettivo pienamente condivisibile». Ma non con i miniBot. «Abbiamo già introdotto uno strumento per raggiungere l’obbiettivo con la triangolazione tra Comuni, Cassa depositi e prestiti e creditori», spiega. La sua risposta, tuttavia, incoraggia ancora di più i sospetti. Porta a chiedersi se dietro i mini-Bot non riaffiorino tentazioni di delegittimare la moneta unica: addirittura di creare le condizioni per uscire dall’euro. «Questo va chiesto a Claudio Borghi, il leghista che ha lanciato la proposta. Non credo fosse questa la sua intenzione. Ma il problema è che lo strumento di soluzione deve essere adeguato rispetto all’obiettivo. Ci sono molte criticità anche tecniche: se i crediti della PA non sono certificati non sono neppure pagabili. Siccome non possono costituire una moneta parallela non c’è l’obbligo di accettarli come mezzo per estinguere un’obbligazione. E chi li accetta, ragionevolmente vorrebbe scontare il fatto di prendere in carico un’attività parzialmente liquida che non frutta interesse. Il risultato è che finirebbero per essere negoziati sotto la parità. E lo sconto rispetto all’euro sarebbe una misura del rischio di uscita del Paese dalla moneta unica». Si tratta di una spiegazione molto tecnica. Eppure elenca con efficacia le implicazioni che può avere alla lunga. Di certo non è un quadro incoraggiante, alla vigilia di una trattativa impervia con Bruxelles.
Viene in mente l’altalena tra fallimento e intesa, registrata nel dicembre scorso sulla manovra dell’esecutivo giallo-verde; e conclusa con un compromesso raggiunto da Conte mentre Salvini e Di Maio venivano zittiti per evitare disastri. È verosimile che anche stavolta finisca come a dicembre? Che alla fine ci sia un sussulto di responsabilità, o di realismo? «Se non è come a dicembre, rischiamo di andarcene tutti a casa. Di certo me ne vado io. Devo poter condurre insieme al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, il negoziato senza distonie e cacofonie». Non si tratta solo di discutere di debito. C’è da scegliere un commissario europeo in quota italiana.
E questo può diventare un altro elemento di frustrazione e potenziale conflitto. Il premier ritiene che un atteggiamento duro e non dialogante non sarebbe d’aiuto, anzi; e che non bisogna aspettarsi concessioni. Secondo Conte, «l’Italia un commissario lo avrà. Ma sarà importante vedere chi, come e con quale ruolo economico. Dobbiamo sapere che ci troveremo di fronte un Parlamento europeo molto diffidente. Lì passa chi ha la maggioranza più uno dei voti, e noi non saremo in maggioranza. Le forze politiche interne non hanno capitalizzato i voti, a Strasburgo. Si prefigura un loro ruolo non decisivo anche per la Lega che pure ha riportato una grande vittoria in Italia».
Gli attacchi al proprio governo moltiplicano le incognite. Conte dice che farà di tutto per cambiare le regole europee. «Ma la procedura di infrazione viene avviata con le regole attuali e con queste bisogna fare i conti», avverte. «Lo dico agli alleati ma anche al Paese che produce e fatica ogni giorno: una procedura per debito eccessivo va evitata. Esporrebbe l’Italia a uno spread difficilmente controllabile; e a fibrillazioni dei mercati finanziari che, in caso di declassamento da parte delle agenzie internazionali di rating, renderebbero più difficile al governo collocare il nostro debito sui mercati», conclude il premier. «Ecco perché occorre unitarietà di intenti e chiarezza di obiettivi. Quando si fa un negoziato bisogna avere nitido il risultato da raggiungere, e mantenersi lucidi e tenaci. Non posso e non voglio assumermi la responsabilità di esporre il sistema-Paese a rischi inutili».