Sterilizzare 17 miliardi di aumento dell’Iva invece dei 23,1 previsti, elevare selettivamente l’aliquota intermedia dal 10 al 13% per alcuni prodotti, accorpare in una nuova aliquota dell’8% alcuni generi esenti o attualmente al 4% e magari altri che oggi sono tassati al 10%. Un puzzle complicatissimo in mano ai pochi specialisti in grado di maneggiarlo e che dovranno essere in grado di trovare almeno una soluzione di massima entro lunedì alle 18 e 30 quando si riunirà il consiglio dei ministri. «L’Iva non aumenterà, lavoriamo a qualche rimodulazione», ha detto ieri il premier Conte, dopo aver incontrato il ministro dell’Economia Gualtieri e spiegando così che si lavora a una revisione delle aliquote.
Il premier ha detto che ci devono essere «pene detentive per i grandi evasori» e che il piano anti- evasione sarà pilastro della prossima manovra; ha aggiunto che ci saranno «premi per chi usa le carte di credito», che Quota 100 e la mini flat tax (15% per le partite Iva che dichiarano fino a 65 mila euro) non saranno toccate. Infine che la manovra sarà «espansiva».
La sterilizzazione dei 17 dei 23,1 miliardi di aumenti dell’Iva, che si affaccia anche dalle parole del governo, è una soluzione di compromesso tra la posizione del Tesoro che punta ad un intervento che impedisca ogni aumento e quella dei Cinque Stelle che propongono misure – come lo sconto sull’aumento dell’Iva per chi paga con metodi di pagamento tracciabili, dalla carta di credito al bancomat – che in qualche modo renderebbero meno dolorosi alcuni rincari almeno nei settori a rischio evasione (ristoranti, alberghi, ristrutturazioni casa). A questo proposito da lunedì ripartirà il tavolo tra governo e operatori bancari e finanziari per studiare come ridurre o annullare i costi dei pagamenti elettronici di basso importo, come quelli fatti in tabaccheria.
In mancanza assoluta di risorse, vista anche la difficoltà dei tagli e la necessità di investimenti e sostegno al reddito, la soluzione della sterilizzazione parziale sta prendendo piede. I 17 miliardi sarebbero impiegati per impedire come previsto dal 1° gennaio 2020 in assenza di correzioni – l’aumento dal 22 al 25,2% dell’aliquota più alta, quella cosiddetta ordinaria. I risparmi verrebbero dall’aliquota intermedia, attualmente al 10 e che dovrebbe salire al 13 per cento: tanto per avere un’idea, tenere una aliquota ridotta al 10 invece che al 22, praticando dunque uno sconto, costa attualmente allo Stato 30,3 miliardi l’anno.
Nella fascia del 10% ci sono una serie di attività definite a rischio di evasione sulle quali l’Iva verrebbe aumentata per tutti quelli che pagano in contanti e sterilizzata parzialmente con credito d’imposta per chi farà invece pagamenti “tracciabili”. Proprio la tracciabilità farà aumentare la base imponibile e ridurrà l’evasione, dando maggiore gettito.
La scelta più difficile – e ancora da fare – riguarderebbe carne, pesce e crostacei, pollami e salumi: l’aumento al 13% di questi generi darebbe al Fisco oltre un miliardo. Il riordino potrebbe essere completato con l’introduz ione di una nuova aliquota all’8%, dove potrebbero transitare anche alcuni prodotti oggi al 4%, che non abbiano rilevanza sociale. Potrebbero, ad esempio, essere accorpati i biscotti che sono al 9% e la pasta che sta al 6% di Iva.
La stangata sarebbe evitata e i 6 miliardi potrebbero essere girati ai ceti più deboli sotto forma di taglio del cuneo fiscale e a parziale ristoro di un aumento dell’inflazione, che però a questo punto – senza toccare l’aliquota simbolo del 22% – sarebbe impercettibile.