Di recente Alexis Tsipras ha avvicinato alcune personalità italiane perché, come premier greco, aveva delle scuse da presentare e un consiglio da dare. Prima le scuse, o almeno la spiegazione, per non aver creato neanche un po’ di attrito nell’ingranaggio dell’area euro che sta mettendo il bilancio di Roma sotto accusa. «Non posso far nulla perché sarei il primo a destare sospetti», ha detto Tsipras, che senz’altro ricorda come l’Italia non fece nulla quando lui cercò disperatamente di ammorbidire le condizioni — allora draconiane — poste dall’area euro alla Grecia.
Poi però Tsipras, memore della ritirata che improvvisò nel luglio 2015 dopo aver bloccato i conti bancari degli elettori per evitare il collasso del sistema, ha offerto un consiglio all’Italia. «È meglio che facciate oggi quel che comunque vi faranno fare domani», ha osservato. «Se invece avete un’altra idea – ha aggiunto, forse alludendo all’opzione di uscita dell’euro che lui rifiutò – be’, allora good luck». Buona fortuna.
Non serve l’esperienza di un politico greco per capire che oggi non ne ha bisogno solo il governo italiano, ma l’intero Paese. Venerdì Moody’s, l’agenzia di rating che ha appena declassato il debito italiano a un solo gradino da «spazzatura», ha fatto capire che potrebbe rivedere in peggio il giudizio se l’economia peggiorasse ancora. E pochi giorni fa Goldman Sachs, la banca americana, ha pubblicato le sole stime di crescita davvero realistiche sulla base dei dati disponibili: il prodotto lordo dell’Italia nel 2019 dovrebbe crescere dello 0,4%, un terzo di quanto prevede la Commissione Ue e circa un quarto di quanto annunciato dal governo. Una differenza di Goldman rispetto a Bruxelles o ai politici di Roma, è che la banca non ha l’esigenza politica di fingere di credere che l’Italia sia in ripresa. La Commissione Ue potrebbe averla per rafforzare la sua accusa che il governo di sta comportando come la cicala della favola di La Fontaine; il governo invece per rafforzare la propria stessa favola, secondo cui questa manovra giova all’economia.
Naturalmente la realtà è diversa, più simile a quella descritta da Goldman.Il relativo allentarsi delle tensioni di mercato negli ultimi giorni è servito ad alcuni investitori per ricostruire posizioni ribassiste sull’Italia da livelli più favorevoli, contando sul fatto che i prezzi cadano ancora e i rendimenti del debito pubblico salgano. È ciò su cui si punta ai piani alti della Commissione Ue, dove si è già fatto il calcolo che l’Italia non possa sostenere uno spread a 400 punti (oggi il rendimento fra i titoli decennali di Berlino e di Roma è di 306 punti, il 3,06%, ma di recente ha già superato quota 330).
È questo che intende dire Tsipras quando invita gli italiani a cambiare strada per non essere costretti a farlo dopo danni ingenti, pagando un prezzo più alto. La Commissione e l’intera area euro ritengono di avere il coltello dalla parte del manico, perché vedono dove sembra essere diretta l’Italia: una crisi di liquidità sul debito nei primi mesi del 2019, quando il Tesoro dovrà fare provvista sul mercato ma gli investitori esteri proseguiranno il loro sciopero attuale. Questa crisi, se arrivasse, piegherebbe le banche prima ancora che il governo perda l’accesso al mercato.
La riflessione di Bruxelles si poggia poi su un altro fattore:l’Eurobarometro, un sondaggio della Commissione, mostra che il sostegno degli italiani all’euro sia molto cresciuto e oggi arrivi al 57%. Di conseguenza si ritiene che l’opinione pubblica obbligherà il governo a fare marcia indietro e a chiedere un salvataggio europeo – se necessario – pur di restare nella moneta unica.
Sono calcoli molto razionali, che non includono né rendono espliciti altri fattori. Il primo è che sul governo agiscono anche correnti sotterranee sempre pronte a prendere in ostaggio la maggioranza degli italiani e portare il Paese fuori dall’euro, per ragioni ideologiche o anche solo di potere: non perdere il controllo di fronte alle pressioni di Bruxelles. Il secondo fattore è che le condizioni di un eventuale salvataggio europeo potrebbero di fatto includere la cessione — convenientemente — a soggetti esteri di Eni, Enel, parti della stessa Cassa depositi e prestiti o il rinvio o la revisione in peggio dei termini di rimborso dei titoli del debito pubblico ai creditori privati. Il terzo poi è una differenza di fondo con l’esperienza dello stesso Tsipras: nel 2015 lui poté decidere da solo, mentre oggi l’Italia è guidata dal duumvirato dei vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Nessuno dei due, cedendo a Bruxelles, vuole lasciare le praterie elettorali del populismo all’altro. Non è chiaro se i vicepremier si rendano conto in pieno della strada sulla quale hanno messo il Paese. Perché in fondo la trattativa che conta non è fra Roma e Bruxelles, ma fra loro.