L’Italia cresce, ma meno del previsto: secondo il centro studi di Confindustria il 2018 si chiuderà con un Pil dell’1,1%, con una previsione per il 2019 dello 0,9 per cento. Numeri ben più ridotti rispetto al +1,6% del 2017 e in ribasso di 0,2 punti, quest’anno e il prossimo, rispetto alle indicazioni di giugno. A pesare sono fattori esterni ed interni, ha spiegato Andrea Montanino, direttore del Centro studi, aggiungendo che «le previsioni non incorporano le intenzioni del governo, perché le misure andranno dettagliate in sede di legge di bilancio e gli effetti macro dipenderanno dal modo con cui gli interventi saranno disegnati».
Tra i fattori esterni che pesano, secondo il Rapporto del Centro studi, c’è l’incertezza legata alla politica commerciale americana, che ha già comportato un dimezzamento del nostro export in Usa nei primi sei mesi dell’anno; il rallentamento in diverse economie europee; la turbolenza su alcuni mercati emergenti; le elezioni in Baviera e quelle europee l’aumento dei tassi di interesse per la fine del Quantitative easing; la Brexit.
Tra quelli interni la fiducia che i mercati riporranno nella manovra economica del governo, in termini di capacità di rifinanziare il debito pubblico in scadenza; la capacità di incidere sui nodi irrisolti dell’economia; la sostenibilità del contratto di governo nelle sua parti più onerose, flat tax, reddito di cittadinanza, riforma pensioni ed è fondamentale che le coperture siano credibili; l’aumento dello spread.
Il governo, analizza il Centro studi, ha fissato l’obiettivo del deficit per il 2019 al 2,4%. Ciò equivarrebbe a realizzare una manovra espansiva per un punto di Pil. Non è la prima volta, ha spiegato Montanino, dal 2014 tutti i governi hanno proposto manovre espansive. Ma in questo caso c’è una maggiore dimensione. Ad una prima valutazione l’aumento del deficit, è scritto nel Rapporto, serve per avviare parti del contratto di governo a sostegno del welfare e ciò potrebbe portare a più tasse in futuro e ad aumentare il tasso di risparmio già oggi, limitando la crescita dei consumi. Se le coperture non saranno ben definite si rischia ex post un rapporto deficit-Pil più alto.
Quindi è «necessario e urgente» inserire nella legge di bilancio misure di politica economica in grado di migliorare in modo strutturale queste tendenze e dare certezze, avviando un percorso di rientro del debito dopo 4 anni persi, con provvedimenti che incidano sulla dinamica del Pil. Cruciale, per rassicurare i risparmiatori, cioè i mercati finanziari.
Bisogna stimolare gli investimenti, e quindi rafforzare le misure di sostegno alle imprese, allentando il vincolo delle risorse finanziare per gli investimenti, andare avanti con Industria 4.0, migliorando la parte formativa, per spingere su innovazione tecnologica e internazionalizzazione. Inoltre bisogna ridurre il costo del lavoro, continuando a concentrare la riduzione dei contributi sulle assunzioni a tempo indeterminato, non smontando le riforme pensionistiche, perché si renderebbe necessario aumentare il prelievo contributivo sul lavoro. Se il meccanismo di quota 100 venisse introdotto andrebbe nella direzione opposta.
E poi occorre un grande piano di investimenti in infrastrutture materiali e immateriali. La carenza di investimenti, ha sottolineato Montanino, abbassa la dinamica del Pil sul breve termine e deprime il potenziale di crescita. Sono determinanti le risorse pubbliche ma anche quelle private. Altra direttrice avviare una riforma fiscale per imprese e famiglie. La flat tax potrebbe semplificare l’imposta e ridurre i costi, ma è improbabile che si autofinanzi con i proventi della maggiore crescita indotta. Ultimo punto una revisione della spesa pubblica che punti ad un efficientamento dei servizi pubblici e una diminuzione di questi, se possono essere forniti dal mercato.