I dati sulla povertà in Italia continuano a interrogarci. Quelli elaborati dall’Istat dicono che il numero di poveri assoluti registrato nel 2018 si conferma allo stesso livello del 2017, rimanendo al di sopra della soglia dei 5 milioni, cioè intorno ai livelli massimi dal 2005. Di questi il 30% dei poveri assoluti è di origine straniera. A questi occorre aggiungere i poveri relativi, che sono leggermente diminuiti, passando da 9,4 a 9 milioni nel corso dello stesso periodo.
Nel complesso le famiglie italiane “sicuramente non povere” rappresentano l’80,8%, mentre il 19,2% rientra a vario titolo nel perimetro della povertà, quota che sale al 33,3% nel Mezzogiorno, che comunque registra segnali di miglioramento, contrariamente a quanto evidenziato in aree ben più ricche come il Nord Est, dove la situazione tende invece a peggiorare. La povertà riguarda anche Milano, che pur veleggiando rapida quanto solitaria tra i flutti della modernizzazione, ne presenta quote significative. Così come la ricca Brianza e l’asse del Sempione in metamorfosi.
Ne è testimonianza puntuale il rapporto della Caritas Ambrosiana, dove sono attivi 87 centri di ascolto e 3 servizi diocesani dai quali sono passate nel 2018 oltre 13mila persone. Negli anni la quota di coloro che continuano a ritornare ai centri di ascolto, i poveri “cronici”, aumenta, soprattutto tra gli italiani, mentre gli stranieri, che pure sono la maggioranza, tendono con maggiore frequenza a rientrare in standard di vita tali da evitare loro di tornare a chiedere il “pacco viveri”.
A maggior ragione se la persona di origine straniera è donna. Le donne hanno meno vergogna degli uomini nel chiedere aiuto, sono più disponibili a intraprendere percorsi di inserimento nel mondo del lavoro, hanno maggiore fiducia nelle reti di supporto informali e formali.
È un problema di fiducia che sta alla base della correlazione tra impoverimento e fragilità relazionale. Gli impoveriti sono tali non solo perché sono senza più o meno temporaneamente senza una fonte di reddito, ma anche perché sono poveri di relazioni significative, poveri di capitale sociale, soli, e perciò cronicamente attaccati a luoghi come i centri di ascolto.
Come dice Luciano Gualzetti della Caritas Ambrosiana, le persone che si avvicinano ai centri di ascolto «hanno bisogno di credere, o di tornare a credere, in sé e negli altri». Perciò il pacco alimentare è certo un aiuto concreto, ma ciò che conta è il gesto di un dono che non umilia, ma è capace di generare fiducia. Dono, fiducia, empatia, sono pratiche che rimandano ai microcosmi comunitari, segno che è nella dimensione di prossimità che si può provare a ripartire con qualche probabilità di successo in più.
Ce lo ricordano anche i tre recenti Nobel per l’Economia Esther Duflo, Abhijit Banerjee e Michael Kremer premiati per i loro studi sui beni relazionali, per l’avere dimostrato sul campo che l’esclusione si combatte con le pratiche concrete fatte di piccoli passi, che la povertà non è tanto questione di redditi quanto di capitali in capo alle persone (educazione, formazione, relazioni) e alle comunità locali. Parrebbe conseguenza logica di buonsenso, che le politiche pubbliche finalizzate ad agire sulle povertà contribuissero a stimolare l’attivazione di circuiti generativi di matrice comunitaria, quella che io chiamo comunità di cura che si fa operosa.
Forse più che di navigator ci sarebbe bisogno di operatori di comunità, tenendo inoltre presente che non è solo una questione di economia sommersa, ma di società dove tanti sono i sommersi e pochi i salvati. La comunità di cura, che comprende i centri di ascolto Caritas così come le fondazioni comunitarie passando per la scuola e il sociosanitario pubblico, rappresentano un asset fondamentale da connettere con la comunità operosa dell’impresa e del lavoro, incluse le relative rappresentanze. Interessante in questo senso il dibattito intorno alla figura del sindacalista di strada e di comunità per dare voce agli invisibili.
La fiducia non si impone dall’alto, ma si costruisce partendo dalle pietre di scarto per ricostruire capitale sociale e fiducia, che più circolano, più crescono in modo esponenziale, il che rende più ricchi tutti: persone, comunità, imprese, territori.