La fuga dall’Italia di tanti; l’arca di Noe’ londinese per molti; l’amore di due; la tragedia di una; il lavoro di tutti. Numeri, quantità, e la qualità delle scelte. Un romanzo di una generazione, i giovani italiani che se ne vanno dal nostro Paese. Grandi riflessioni si sprecano sul perché. Se ne scappano perché manca il “posto”? In realtà – un bel numero – si dilegua perché manca “l’aria”. In un mondo s-connesso c’è bisogno di luoghi che non ti fanno domande prevenute; perimetri di gioco pronti a darti le carte per puntare le tue fiches. Sono territori che sanno accogliere i nuovi stranieri di questa epoca: nomadi per vocazione, gente in cerca di ispirazione. Le grandi città sanno accogliere proprio per questo: sei lì ma non importa chi sei, se hai voglia di essere. Svolgono un ruolo centrale nell’economia spaziale: dettano il ritmo al contado. In realtà sono una rete di protezione, un luogo a cui affidarsi, un spazio dove trovare pezzi di certezze. Lo scambio è duro, faticoso. Case con-vissute, tempi di trasferimento lunghi, relazioni deboli, lo smog che si ficca dentro gli abiti. Tanto ti danno, tanto di chiedono. “Città irreale”, scritto da Cristina Marconi, dipinge tutto questo. È Londra, potrebbe essere New York, Shanghai, Tokio o adesso anche la “nostra” Milano (e lo sarà ancor più con l’imminente Brexit). Chi sopravvive? Chi si aggrappa a qualcosa. L’arca di Noe’ prima o dopo ti lascia spiaggiato. Il mito del “posto” ti dimentica prima o dopo “fuori posto”. E tu devi cercare, oltre. Al di là di qualche stereotipo, tipico di chi debutta al gran ballo degli scrittori, “Città irreale” e’ un romanzo che ascolta (i bisogni), mischia (le paure), restituisce (l’amore). Un libro piacevole per farsi coccolare dallo scorrere delle pagine, perche’ no, durante le imminenti vacanze natalizie