«Il governo? Si deve dar retta agli italiani, che hanno lanciato un messaggio forte di rinnovamento del panorama politico. Si parla molto di populismo ma il popolo è semplicemente stanco, vuole sovvertire il sistema. Salvini e Di Maio faranno qualcosa di buono, vedrete». Massimo Colomban si racconta a Gian Antonio Stella del Corriere al Teatro Olimpico di Vicenza, nella cornice del Festival Città Impresa.
Il fondatore di Permasteelisa («Vedete, un’azienda può essere di successo anche con un nome impronunciabile…») parte dagli esordi, da quando a 14 anni inchiodava i fondi delle damigiane, e arriva alla «multinazionale tascabile» partita da Vittorio Veneto e arrivata a quotarsi alle Borse di Milano e Singapore, con 42 stabilimenti in 28 Paesi e 5 mila dipendenti. «A 55 anni, dopo 40 anni di lavoro, decisi che era il momento di fare altro – racconta Colomban – cedetti il 50% delle azioni ai miei 83 manager migliori, confidando che avrebbero portato avanti l’azienda lungo la strada che avevo indicato. Avevamo coperto il 40% degli edifici più belli del mondo… Tre anni dopo avevano già venduto tutto alle banche, traditori».
A proposito di banche: «Anche io e mia moglie abbiamo preso il bidone dalle popolari, abbiamo perso 100 mila euro con Veneto Banca. Non molto, per fortuna, giusto una piccola quota “di rappresentanza” che il direttore di filiale mi aveva implorato di tenere lì. Ma il grosso io l’avevo portato via già 5 anni prima, quando ancora le azioni andavano via come il pane: bastava confrontare utile, patrimonio e valore delle quote per capire che qualcosa non andava. Ora vanno trovati i colpevoli e devono pagare. È grave che il governo non intervenga, a fronte di una rapina perpetrata ai danni dei cittadini con bilanci taroccati».
Molto più dei 100 mila euro persi con le popolari pesano però i 25 milioni che, racconta Colomban, gli sarebbero stati spillati «nell’ambito di una vicenda di corruzione tremenda, che racconterò nei dettagli in un libro di prossima uscita. Una vicenda che si trascina da 30 anni e riguarda la compravendita di un terreno, che mi ha spinto a lasciare l’Italia per un periodo. Ero schifato».
Dice l’imprenditore che la corruzione non attanaglia nessun altro Paese del mondo come l’Italia, «neppure la Cina, neppure gli Stati arabi». Poi ci sono «il feudo dei giudici», «il ginepraio di leggi e regolamenti», «il proliferare di carrozzoni pubblici», e questo anche anche in Veneto dove «vedo quel che sta accadendo con AscoPiave: perché il pubblico deve intestardirsi a fare quel che il privato farebbe meglio e a costi minori?». Proprio per disboscare i carrozzoni Colomban fu chiamato nel 2016 a Roma da Virginia Raggi, come assessore alle partecipate. Un anno dopo aveva già lasciato: «Ho considerato chiuso il mio compito: ho chiuso 20 società e ridotto l’indebitamento».
Un impegno, quello a Roma, che l’ha portato ad essere identificato come «l’imprenditore Cinque» per antonomasia anche se ora lui si smarca: li hai votati?, chiede Stella; «Li ho votati cinque anni fa, sono neutro alla politica». E in effetti, nel giro di dieci minuti plaude sì al Movimento («Gli italiani pretendono politici onesti») ma anche a Salvini («La flat tax è una buona idea, anche se Amazon andrebbe tassata al 35% perché fa chiudere i negozi») e pure a Renzi: «La legge Madia è stata un capolavoro, un’iniziativa esplosiva, di quelle che cambiano il Paese». Come si tiene tutto insieme? «Io sono un genio e un innovatore: ci vorrebbe un governo degli intraprendenti, dei migliori di ogni schieramento». Sai mai che qualcuno non riferisca al Quirinale…
*Corriere del Veneto, 15 aprile 2018