È un segno dei tempi che le parate militari nei giorni di festa nazionale siano tornate a essere così sovraccariche di simboli. Un paio di anni fa Donald Trump assisté a quella del 14 luglio a Parigi e sembra ne sia stato talmente impressionato che ne ha voluta una grande per sé il 4 luglio a Washington. Nell’epoca d’oro delle democrazie liberali, le parate militari erano faccende per sistemi politici diversi: gli analisti tenevano il conto dei missili in sfilata sulla Piazza Rossa a Mosca o per i viali di Pyongyang. Oggi, in una strana giravolta, questi simboli sono tornati importanti nelle capitali d’Europa e negli Stati Uniti. Ieri per esempio la presa della Bastiglia è stata commemorata a Parigi con quattromila militari, 69 aerei, droni e addirittura un uomo volante in piedi su un «flyboard». C’è stato però un altro evento che doveva essere altrettanto simbolico: una colazione di lavoro all’Eliseo fra i leader della cosiddetta «Iniziativa europea di intervento». C’era naturalmente il padrone di casa e ispiratore del progetto, Emmanuel Macron, insieme alla tedesca Angela Merkel e ai capi di governo di Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Olanda, Portogallo, Spagna e Regno Unito. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, no. Non c’era, perché non era stato invitato. Fonti francesi spiegano che l’assenza dell’Italia era «normale» perché il governo non ha aderito all’Iniziativa europea d’intervento. Poco importa che abbiano scelto di far parte del gruppo anche Londra (che sta uscendo dall’Unione europea) o la Danimarca (che non aderisce ai progetti di difesa Ue). È possibile che da Roma si guardi con scetticismo a questo progetto voluto da Macron, fuori dai Trattati europei, di cui alcuni sospettano fini non del tutto chiari: mettere Parigi al centro di un accordo per lo scambio di intelligence e dispiegamento rapido di forze nei teatri di crisi di interesse francese, specie in Africa, dove le forze transalpine faticano a tenere il campo da sole. Dubbi legittimi, diffusi anche in Germania. Ma Merkel ha aderito, perché capisce che solo così può far parte del gioco e influenzarlo secondo le proprie priorità. Stare fuori, come fa l’Italia, non impedisce a questo progetto europeo di difesa di andare avanti. I soli risultati sono l’isolamento di chi resta fuori, cioè il nostro, e una nostra maggiore difficoltà a influire sulle mosse europee in future aree di crisi sull’altra sponda del Mediterraneo. Inutile poi lamentarsi se, dalla Libia all’Africa subsahariana, i francesi non fanno mai quel che vorremmo noi.