Tra gli appunti di Luigi Di Maio e dei suoi strateghi c’è una frase sottolineata più volte: «Il Movimento 5 stelle deve essere equidistante dalla Lega e dal Pd, in modo da poter tenere aperte due porte, una a destra e una a sinistra». Negli ultimi mesi, il baricentro si era spostato troppo a destra. Ed ecco che allora, in piena campagna elettorale, il leader cerca di riequilibrare i pesi annunciando cinque proposte lontane dagli orizzonti leghisti: acqua pubblica; conflitto d’interessi; salario minimo, taglio degli stipendi dei parlamentari e una legge per togliere la sanità dalle mani dei partiti. «Su queste cinque proposte La Lega è con noi? Se è con noi, possiamo dare queste leggi al Paese già quest’anno», dice Di Maio da Varsavia, dove partecipa alla convention di Kukiz’15, loro alleati alle prossime Europee.
Il primo banco di prova potrebbe essere proprio la proposta di legge sull’acqua pubblica sulla quale è al lavoro dall’inizio della legislatura la deputata grillina Federica Daga. Ma il progetto di legge «dovrà essere modificato», spiegano fonti di primo livello del Movimento, perché «ci sono alcuni punti che non passeranno mai all’esame degli alleati leghisti». Anche sulla legge per istituire il salario minimo gli uomini di governo del Movimento sono convinti che si dovrà mettere mano, perché nel lavoro fin qui portato avanti dalla deputata M5S Nunzia Catalfo sarebbero state individuate delle forti contraddizioni. Alcuni settori, infatti, rischierebbero di restare con un salario più basso rispetto a quello attuale. Di certo, non ci sarà il tempo per approvare tutte e cinque le proposte entro fine anno come promette il leader.
Dalla Lega, per ora, è arrivata una risposta freddina. «Di Maio fa solo campagna elettorale», dicono i colonnelli di Matteo Salvini. E non nascondono l’irritazione per leggi che «sembrano tagliate su misura per il Pd», come se si volesse riaprire quel forno. Una preoccupazione che non si discosta troppo dalla realtà. «C’è un pezzo di establishment, nel Movimento, che sta remando in quella direzione», rivela un membro del governo pentastellato. «Prima Travaglio che parla di alleanze con i dem, poi Fico su Repubblica… sembra che si voglia riaccendere l’ipotesi di un’alleanza tra noi e il Pd dopo le Europee, perché si ha paura delle conseguenze di un successo della Lega».
Di Maio accarezza questo schema, convinto che possa aiutare a mantenere sotto controllo le fibrillazioni che ci saranno nel governo dopo il voto del 26 maggio. Dall’altra parte, infatti, è stato notato l’attivismo di Giorgia Meloni, che chiede a Salvini di mollare i Cinque stelle. «Se Salvini la pensa così, noi rispondiamo guardando a sinistra. E con il Pd una maggioranza alternativa ci sarebbe, mentre Salvini con Fdi non ha i numeri», ragionano nel quartier generale del leader. Le Europee, però, fanno paura. Il rischio più concreto è che il leader della Lega possa reclamare due ministeri, di cui uno pesante e uno più leggero. La Sanità e i Trasporti sono quelli più a rischio e lo spauracchio di un nuovo forno aperto con il Pd, per i Cinque stelle, può aiutare a tenere calme le acque.
L’ipotesi di un cambio di alleati al governo però è molto più lontana di quanto i toni da campagna elettorale possano far credere. «Questo Paese non si può permettere di cambiare un pezzo di governo dopo le Europee, in vista della manovra», sostiene un ministro grillino tra i più fedeli al leader. Quando gli uomini di governo del Movimento sono a Bruxelles o in visita all’estero, infatti, la prima cosa che chiedono ansiosi gli interlocutori stranieri è: «Cosa succederà nel vostro governo dopo le Europee?». Lo spread continua ad avere fluttuazioni e i mercati sembrano non avere ancora una piena fiducia nella stabilità italiana. Il livello dello spread schizzato sopra i 200 punti base in attesa del giudizio di Standard & Poor’s non è stato un caso passato inosservato dalle parti di palazzo Chigi. Una situazione, quindi, che non rende appetibile l’idea di cercare una maggioranza alternativa con il Pd. I rapporti, però, si costruiscono con il tempo.