Ci sono alcuni numeri sui quali, ogni tanto, vale la pena riflettere: a cominciare dai 4 milioni di imprese che formano il tessuto non solo economico, ma anche sociale, del nostro Paese. Piccole, piccolissime, medio-piccole, medie, medio-grandi e (pochissime) grandi. Venerdì 15 marzo in Piazza Affari dove «L’Economia» ha riunito i 600 Champions italiani, selezionati insieme a ItalyPost, bastava guardare i volti di quegli imprenditori, oltre che i numeri delle loro aziende, per avere un’altra idea del nostro Paese. Di imprenditori che vendono roccatrici in 35 Paesi nel mondo o presse che competono senza tanta difficoltà con la Germania. Idee che sono diventate aziende, intuizioni che si fanno export.Cose che difficilmente potrà fare un algoritmo. Colpiva l’idea di vedere tutti questi imprenditori che hanno resistito alla crisi continuando a crescere, seduti uno accanto all’altro. In qualche modo si sono rivisti insieme, come in uno specchio delle possibilità che l’industria e il made in Italy conservano. Nonostante tutto. Nonostante regole talvolta astruse. Molti nomi poco noti, al limite dell’invisibilità che caratterizza chi preferisce fare le cose, anziché raccontarle. Eppure ci sono due cose sulle quali è necessario accelerare qualche riflessione. Se in Germania i manager sono presenti nelle aziende nella misura del 5 per cento, in Italia non si arriva alla metà. Forse questa è una strada che andrebbe percorsa con più rapidità.
*L’Economia, 18 marzo 2019