Sono 37 le imprese Champion del Sud. Rappresentano il 7% del cluster delle piccole e medie imprese eccellenti: un dato che, se raffrontato all’80% del Nord, riflette il noto divario fra le due aree del Paese. Ma la chiave di lettura di un numero che stigmatizza il quadro di un’Italia a due velocità si esaurisce, ancora, in un criterio puramente geografico?
Le aziende Champions si assomigliano in maniera sorprendente: poli di un unico grande cluster sparpagliati nel complesso e contraddittorio panorama industriale nazionale, costituiscono la trama di una sola, grande e robusta filiera, uniforme per capacità evolutiva, dinamicità, slancio all’innovazione e all’apertura dei mercati, coerenza strategica. Senza reali differenze fra Nord e Sud, sono aziende nella maggior parte dei casi nate dall’humus di importanti distretti produttivi, da tradizioni manifatturiere caratterizzate da un indissolubile legame con i territori e con bacini di competenze consolidate ed evolute sulla spinta spesso di grandi player globali, non di rado pubblici, che qui hanno trovato terreno fertile.
È il caso, per esempio, dei distretti dell’aerospaziale campano (il secondo più importante dopo quello di Varese) e pugliese, nati dall’insediamento di Alenia. O delle aziende dei poli dell’automotive in Campania e Abruzzo, dove la presenza di Fca ha sedimentato competenze e alimentato un indotto importante e in continua evoluzione. Il ruolo chiave dei territori si manifesta nelle eccellenze del distretto agroalimentare campano (di nuovo), con le aziende della filiera cerealicola e della paste, con l’industria lattiero-casearia, ma anche nella declinazione in nuovi format di importanti tradizioni manifatturiere (si pensi alla filiera del tessileabbigliamento e alla grande tradizione sartoriale napoletana, dalle quali sono nate nuove aziende retail del settore).
Resta, è vero, il problema della rarefazione del tessuto industriale. Le eccellenze si innestano a fatica (e per questo con maggior merito) in territori in cui la carenza di infrastrutture e l’inefficienza della macchina burocratica, assieme all’insufficienza di capitale umano e competenze tecniche cui attingere per la crescita, diventano il vero gap insormontabile sul medio-lungo periodo. Una politica industriale improntata a merito e risultati, fuori da logiche assistenziali, che favorisca l’attrazione di capitali stranieri e consenta ai talenti di rimanere, potrebbe – insieme all’uso intelligente della leva digitale per il superamento di gap infrastrutturali e geografici – moltiplicare il numero delle aziende top e accelerare il ciclo di crescita che generano sul territorio.
*Partner di Special Affairs e project leader della ricerca Champions 2018; L’Economia, 4 giugno 2018