La fine del centrodestra ha una data ufficiale: il 21 ottobre 2018. Ossia il giorno delle prossime elezioni regionali.
L’alleanza tra Lega e Forza Italia ormai solo virtuale dopo la nascita del governo Conte è dunque definitivamente archiviata. La spina la sta staccando Matteo Salvini. Che ormai pensa “da solo”. Considera in via di estinzione il partito di Silvio Berlusconi, scommette sulla Lega Nazionale e sulla possibilità di fagocitare l’elettorato tradizionale forzista.
Solo gli elettori, però, non certo la sua classe dirigente.
Il vicepresidente del consiglio punta insomma a ridisegnare lo schieramento politico. E vuole farlo con due mosse.
La prima è tattica, la seconda strategica. La prima fa perno sullo stallo che si è determinato sulla Rai. Il no di Forza Italia alla presidenza Foa sta diventando un pretesto per alzare il livello della tensione con i berlusconiani. Salvini insiste per ora sul suo candidato proprio per spingere l’ex alleato in maniera evidente sullo sponde dell’opposizione. E soprattutto per parificare Forza Italia al Pd.
Mostrare che la vera intesa sarebbe tra Fi e il Partito Democratico in una sorta di riedizione del patto del Nazareno. Il modo più semplice per convincere chi ancora sostiene il Cavaliere ad abbandonarlo per rivolgersi ad “Nuovo centrodestra”. Lo stallo sui vertici di Viale Mazzini è quindi diventato strumentale al disegno politico salviniano.
Anche se il nodo televisivo si dovesse poi sciogliere in qualche modo tra settembre e ottobre.
In quei mesi, infatti, maturerà la seconda mossa: quella strategica. Il Carroccio ha infatti deciso di affrontare la tornata regionale di autunno rompendo la coalizione. Le amministrazioni chiamate al voto sono quelle di Trentino Alto Adige, Abruzzo e Basilicata. La Lega si presenterà da sola in tutte e tre i casi. Anche a costo di perdere ovunque. Le previsioni che fa Salvini infatti sono abbastanza chiare: in Abruzzo e Basilicata vincerà il Movimento 5Stelle, il Trentino se lo aggiudicherà il centrosinistra.
Il leader leghista, però, lo considera un investimento. In primo luogo l’obiettivo consiste nel dimostrare che il suo partito avrà più consensi di Forza Italia anche nelle aree del Mezzogiorno. Poi scaricherà sui forzisti la responsabilità della sconfitta. Infine si presenterà agli elettori di Forza Italia come l’unica formazione capace di rappresentare in modo competitivo e autentico il centrodestra.
Del resto, il segretario lumbard ha già in larga parte svuotato il fronte del Cavaliere. I sondaggi gli attribuiscono un consenso medio nelle regioni del nord intorno al 38 per cento e in quelle meridionali si attesta sul 20 per cento. Una “nazionalizzazione” del Carroccio che intacca anche i consensi del Movimento 5Stelle.
Nel suo schema dunque Forza Italia già non esiste più. Certo non intende farsi carico degli eletti berlusconiani, a cominciare dai parlamentari. Le “fughe” verso la Lega sono respinte non per lealtà ma per convenienza. Semmai il suo obiettivo è quello di spolparla elettoralmente per poi indurre il gruppo dirigente sopravvissuto a spaccarsi in due: una parte convergerebbe idealmente nel “Nuovo centrodestra” a trazione leghista, l’altra andrebbe a costituire la “gamba centrista” del centrosinistra che dovrà prima o poi riorganizzarsi per provare a sfidare sia la Lega, sia il Movimento 5Stelle. Non a caso, nel disegno del ministro dell’Interno, solo Fratelli d’Italia avrebbe ancora i titoli per allearsi con lui. E se ci fosse una crisi di governo e la legislatura precipitasse verso le elezioni anticipate, la coalizione di centrodestra avrebbe solo due contraenti: Salvini e Meloni. Una coalizione che, a suo giudizio, può aspirare a superare la soglia del 40 per cento.
E comunque l’esperimento in Trentino, Abruzzo e Basilicata sarebbe solo la premessa di quel che – nei programmi del vicepremier – dovrebbe accadere in primavera nell’altra tornata regionale, ben più importante e ampia. Quella che vede in gioco il Piemonte, l’Emilia Romagna, la Toscana e la Calabria.
Questo progetto è ormai diventato piuttosto chiaro anche a Berlusconi che infatti sta provando a correre ai ripari.
Soprattutto perché non si sente più garantito nei suoi interessi aziendali.
Nel disegno ideato da Salvini, c’è allora una tessera che può venire meno. C’è soprattutto una variabile che non può essere controllata: l’ex premier, ormai riabilitato, vuole ricandidarsi per tornare subito in Parlamento. Se ci fosse un deputato o un senatore eletto in un collegio uninominale – soprattutto al nord – che in questi mesi dovesse abbandonare il Parlamento, Berlusconi allora si candiderebbe. E a quel punto tutto diventerebbe più complicato per Salvini.
Soprattutto sarebbe meno spiegabile ai fan del centrodestra il mancato sostegno al Cavaliere e sarebbe meno agevole spezzare l’elettorato berlusconiano più fedele. «Anche perché – ammette lo stesso capo dei leghisti – l’unico che in Forza Italia ha ancora qualche voto è solo Berlusconi».