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«Scienza, etica e società»: è l’impegnativo titolo della lezione di Elena Cattaneo, farmacologa e senatrice a vita, prevista per stamattina, dalle ore 11.30 al Teatro Miela.
Professoressa, pochi hanno consapevolezza che esista un’etica della scienza e molti credono che tutto le sia permesso: così pensano alla ricerca come a un Moloch crudele e cieco. Come si può correggere questa visione errata?
«La scienza è tutt’altro, indaga la realtà con l’umiltà di chi si pone di fronte all’ignoto. Solo mesi di esperimenti, fatica e fallimenti diranno se la strada intrapresa è giusta. Lungo questo cammino si obbedisce solo al metodo scientifico, che pone in competizione ogni idea, senza mai accettare che qualcuna possa essere “privilegiata”. In Italia si fatica ad affermare questo metodo. L’unico che permette di non trasgredire l’etica pubblica».
Lei è un esempio di impegno nel nome della trasparenza e dei principi della libertà di ricerca: quale, tra le sue battaglie, ha avuto più successo e quale sarà la prossima?
«Nel 2001 mi accorsi che una commissione ministeriale distribuiva fondi per la ricerca senza metodo scientifico. Mi ribellai, perché credo nell’etica della scienza. La questione arrivò in Parlamento. Il sottosegretario riconobbe che la commissione non aveva lavorato in modo trasparente. Fu una prima vittoria. Seguirono altri casi simili. Feci causa al governo, con due colleghe, per la libertà di ricerca sulle cellule staminali embrionali. Poi venne Stamina. Più recente è la battaglia su Human Technopole, che ripropose il metodo della “cooptazione”, contrario all’etica pubblica. Un errore a cui il governo ha poi posto rimedio. Pensando al futuro, il tema che mi “tortura” è l’enorme contraddizione tra fatti e credenze in agricoltura. Politica e marketing hanno narrato una storia diversa dalla disastrosa realtà del settore. Mentre in campo medico l’innovazione è ben accetta, in agricoltura è di fatto vietata».
Perché in Italia il dibattito sulla scienza incontra così tante difficoltà? C’è una ricetta che può aiutarci a migliorare una situazione compromessa da disinformazione, fake news e isterismi di massa?
«In Italia manca l’abitudine al ragionamento scientifico. Spesso, per difendere “visioni” che si sostengono o criticano a priori, si richiamano ricerche a tesi anziché i dati su cui vi è consenso nella comunità degli studiosi. Soprattutto, ad ogni nuova scoperta scientifica, siamo abituati a sentir parlare delle paure che genera e più difficilmente se ne parla per apprezzarne i concreti passi avanti».
Esiste un esempio di successo, al di fuori dell’Italia, di come discutere in modo efficace i problemi della scienza e della tecnologia?
«Dal 2014 la Bbc ha adottato delle linee-guida per la comunicazione scientifica, stilando appositi elenchi di esperti. Una simile proposta era nelle conclusioni dell’indagine conoscitiva del Senato sul cosiddetto metodo Stamina. Purtroppo è ancora lettera morta».
Perché sono ancora pochi gli scienziati in Italia disposti a impegnarsi in prima persona, quando sono in ballo temi di interesse collettivo come i vaccini, l’Aids o la cura del cancro?
«Se la scienza in Italia fatica ad affermare la propria autorevolezza, una buona parte di responsabilità è degli studiosi. Invece di partecipare al dibattito pubblico per ristabilire la verità dei fatti scientifici molti restano chiusi nei laboratori, forse pensando – erroneamente – che il dibattito pubblico non li riguardi o per paura di risultare impopolari. Eppure le capacità e le competenze di questi scienziati sono indispensabili per argomentare anche i “no” a volte necessari al Paese».
Ha un consiglio per chi fa divulgazione della scienza?
«Non aver paura di ristabilire il buon senso contro il senso comune. Si deve “contaminare” ogni ambito, con una comunicazione energica quando toni e posizioni sono estreme e più argomentativa per rispondere ai dubbi dei cittadini. È in corso un dibattito, anche all’interno della comunità scientifica, sull’utilità di “smontare le bufale”, il cosiddetto “debunking”. Lo ritengo irrinunciabile. Serve, poi, il coraggio di affermare che non esiste par condicio nella scienza, che non si possono mettere sullo stesso piano – o nello stesso studio tv – scienziati e ciarlatani. In questi casi ho sempre declinato, senza mai pentirmene».
*Tutto Scienze, 26 settembre 2018