Il fronte indipendentista ha fallito anche il terzo tentativo di dare un presidente alla Catalogna. A tre mesi dalle elezioni i partiti impegnati per la secessione, che pure hanno la maggioranza nel Parlamento regionale, non sono riusciti a trovare l’accordo per sostenere Jordi Turull, ministro portavoce nel precedente governo, fedelissimo di Carles Puigdemont, il governatore rimosso da Madrid e fuggito in Belgio per evitare il carcere.
In una vicenda piena di contraddizioni, di errori e ormai stantia anche per gran parte della popolazione catalana, JuntsxCatalunya, il partito di Puigdemont, ha cercato con Turull di rilanciare la sfida a Madrid trovando in extremis – dopo un giro di consultazioni telefoniche – l’appoggio della Sinistra repubblicana. Ma non quello della Cup, la formazione di estrema sinistra che si è sfilata, facendo mancare i voti per raggiungere la maggioranza assoluta di 68 voti sui 135, a mezz’ora dalla seduta di investitura. Ancora una volta gli indipendentisti hanno cercato, in tutta fretta, di forzare la resistenza dello Stato centrale proponendo sul quale pende l’accusa di ribellione: Turull oggi dovrà infatti presentarsi davanti al giudice del Tribunale supremo che deve decidere se prolungarne la libertà condizionata, se ordinarne l’arresto e se procedere con il rinvio a giudizio per avere, assieme agli altri leader catalani, per avere organizzato all’inizio di ottobre il referendum sulla secessione e per avere poi dichiarato l’indipendenza violando le leggi spagnole.
Prima di candidare Turull, i nazionalisti catalani avevano provato a insistere sull’elezione a distanza di Puigdemont, fermandosi di fronte al veto della Corte costituzionale. Poi avevano sostenuto l’attivista, Jordi Sanchez, bloccato tuttavia in carcere dal Tribunale supremo. Ora, anche se Turull non dovesse essere incarcerato e la spuntasse oggi, in un nuovo voto nel quale è sufficiente la maggioranza dei presenti in aula, l’elezione di un presidente sotto processo rischierebbe di indebolire ulteriormente il fronte indipendentista.
Turull, ieri sera in aula, ha evitato di fare riferimenti al processo di indipendenza e si è limitato a chiedere il rispetto dell’autonomia della Catalogna, offrendo la mano tesa al premier Mariano Rajoy e a re Felipe: «Torniamo a offrire dialogo al governo spagnolo, dialogo, dialogo, dialogo», ha detto parlando da presidente designato e chiedendo tuttavia a Madrid di «restituire immediatamente l’autonomia alle istituzioni catalane».
Il premier Mariano Rajoy ha invece chiesto ai partiti catalani di esprimere un presidente «eleggibile, pulito, che rispetti le leggi» e ha già fatto sapere che la Generalitat resterà commissariata e quindi senza autonomia fino al giuramento di un nuovo legittimo presidente. I partiti unionisti, il popolare di Rajoy, e soprattutto Ciudadanos hanno duramente criticato la scelta di Turull bocciandola come «l’ennesima inutile provocazione» e come «un modo per non cedere e portare avanti il processo indipendentista».
Il voto di ieri notte, anche se è andato a vuoto, ha tuttavia almeno un effetto certo: obbliga il Parlamento a eleggere un presidente per formare il governo di Barcellona entro il termine di due mesi, dopo il quale vengono indette automaticamente nuove elezioni anticipate. La sfida di Barcellona a Madrid sembra non trovare soluzioni e potrebbe dunque misurarsi di nuovo alle urne.
Si moltiplicano gli appelli, soprattutto delle imprese, perché la regione torni alla normalità, perché ci sia un governo, perché finisca il clima di incertezza e la Catalogna riacquisti la sua credibilità. Ma a guardare i dati, anche l’economia è ormai stanca della crisi istituzionale e ha, almeno in parte, smesso di preoccuparsi del rischio di secessione: il Pil catalano subirà quest’anno, in valore assoluto, il sorpasso storico da parte della regione di Madrid. Ma l’economia di Barcellona nonostante un lieve rallentamento, continua a crescere a ritmi sostenuti: dopo il 3% del 2017, l’espansione dovrebbe restare comunque sopra il 2% nel 2018. «La crisi catalana non è per niente risolta – dice Angel Talavera, economista di Oxford Economics – ma si è trasformata in un prolungato conflitto a bassa intensità, con un impatto economico limitato».