Il 24 settembre è un lunedì. Ma non sarà per tutti un banale inizio di settimana. Tra i 60 e gli 80 mila lavoratori metalmeccanici potrebbero entrare in un incubo: « Verranno licenziati e rimarranno senza reddito perché gli ammortizzatori sociali scadono proprio quel giorno » , avverte la Fiom- Cgil che ha appena ultimato il censimento delle fabbriche nelle quali si continua a produrre solo grazie a cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga, contratti di solidarietà e mobilità. Un armamentario in via di smantellamento per scadenza dei termini e per le modifiche regolamentari del Jobs Act.
La base statistica dell’indagine Fiom sono i 100 mila dipendenti complessivi delle imprese metalmeccaniche che hanno attivato gli ammortizzatori, e la ulteriore proiezione delle scadenze sulla fine dell’anno avvicina a quota 90 mila i posti a rischio. Dati molto indicativi perché se è vero che ci sarebbero da considerare anche le crisi degli altri settori ( Alitalia e call center, due esempi su tutti), il grosso degli ammortizzatori sono usati proprio nelle fabbriche metalmeccaniche.
Si va dai 16 mila posti in Lombardia con le emergenze della Ime di Brescia, delle brianzole Candy e Peg Perego, della Electrolux di Solaro, ai 14.700 della Puglia; dai 9.900 della Liguria, ai 9.800 del Piemonte dove soffrono la Maserati di Gugliasco, la Tekfor di Pinerolo, la Gammastamp di Vercelli, la Cerutti di Alessandria; dai 9 mila della Campania, agli 8.200 della Basilicata; dai 5.900 del Veneto (Afv Beltrame, Marelli Motori, Gemmo e Agis di Vicenza, la Wanbao di Belluno), ai 5.900 dell’Umbria; dai 4.400 delle Marche, ai 3.400 dell’Emilia Romagna( tra le altre Kemet e Selcom a Bologna, la Tecno di Reggio Emilia); dai 2.700 del Lazio ai 2.300 della Sardegna, ai 2.200 della Sicilia e via via tutte le altre regioni con le sole Valle d’Aosta e Trentino senza crisi industriali.
Anche la ” distinta” per gruppi e settori fotografa la trasversalità dell’emergenza: gli stabilimenti Fca in Piemonte, Lombardia, Campania e Basilicata; il settore elettrodomestici in Veneto e Friuli; l’indotto Whirlpool a Varese, Fabriano, Siena, Comunanza, Napoli e Caserta; l’Ansaldo Energia e la Piaggio Aerospace di Genova; la Acciai speciali Terni; la Bosh di Bari; la Jabil di Caserta; la De Masi di Gioia Tauro; la Kme con gli stabilimenti di Lucca, Firenze e Alessandria; l’Industria italiana autobus di Bologna e Avellino che proprio ieri ha guadagnato un po’ di ossigeno con lo sblocco degli stipendi dopo un vertice al Mise.
Il vicepremier e ministro, Luigi Di Maio, ha ribadito che nell’imminente ” decreto emergenze” ci sarà anche la norma che ripristina la cassa integrazione ” per cessazione”. Ma rischia di rivelarsi una goccia nel mare perché, sempre dati alla mano, sugli 80 mila posti di lavoro a rischio solo una minima parte è relativa ad aziende in chiusura. « Bene Di Maio che risolve una follia del Jobs Act, ma non pensi di cavarsela così — sottolinea ancora la leader della Fiom, Francesca Re David —. Chiediamo l’apertura immediata di un tavolo per discutere la riforma complessiva degli ammortizzatori sociali ridotti sia nella casistica che nella durata. Si è rinunciato a uno strumento di politica industriale, peraltro con il paradosso che la gestione Inps della Cassa è in attivo e che agli imprenditori costa meno licenziare ».
E sempre secondo Re David la risposta non può essere il reddito di cittadinanza: «Sono favorevole, ma riguarda chi il lavoro non ce l’ha. Noi chiediamo di salvaguardare l’occupazione, ad esempio estendendo i contratti di solidarietà dai soli casi di contrazione del lavoro a quelli di possibile espansione della base occupazionale».