Nell’era gialloverde si può dire tutto e il suo contrario. Nel giro di poche ore. Senza curarsi degli effetti collaterali. I danni restano anche dopo ripensamenti e precisazioni. La speranza è che buon senso e competenza, che pur ci sono, non siano travolti da dall’arroganza che tarantola da sempre i vincitori. Dunque, calma. In tutti i sensi. Prudenza anche nel prospettare scenari nefasti su eventuali reazioni autunnali dei mercati. Qualche oppositore sciaguratamente se li augura. Si fanno danni seri anche opponendosi male.
Parlare di fuga dei capitali in atto è eccessivo. Ma quello che è accaduto in maggio, con un innalzamento dello spread sulla base di un semplice mutamento delle aspettative legato al programma del nuovo governo, dovrebbe far riflettere.
Secondo gli ultimi dati di bilancia dei pagamenti, nel solo mese di maggio, il saldo è fortemente peggiorato a 39 miliardi, di questi 32 si possono tranquillamente — si fa per dire — iscrivere alla voce fuga dal rischio Italia. I non residenti si sono sbarazzati di 25 miliardi di titoli di Stato e 7 miliardi di obbligazioni bancarie. Gli investitori si sono protetti dal rischio di ridenominazione, cioè dalla paura remota di un’uscita dall’euro, ripetutamente negata dal premier Giuseppe Conte e dal ministro dell’Economia Giovanni Tria.
Gli oltre cento punti di maggiore differenziale nei rendimenti tra Btp e Bund — che sono già l’handicap di partenza del nuovo governo, insieme a una crescita del Prodotto interno lordo (Pil) più bassa del previsto, intorno all’1,1-1,2 per cento nel 2018 — hanno già appesantito i conti semestrali di banche e assicurazioni.
Erosione
Come ha rilevato Morya Longo su Il Sole 24 Ore, Intesa SanPaolo, la prima banca italiana, ha visto peggiorare l’indice del suo capitale migliore (Core Tier 1) di 35 punti. Generali, la prima compagnia assicurativa, ha ridotto il patrimonio di 1,33 miliardi.
I bilanci più che buoni ottenuti da Messina (Intesa) e Donnet (Generali) coprono ai più l’osservazione di questa lenta erosione che potrebbe, da settembre in poi, essere di maggiori dimensioni. Banche e assicurazioni hanno in carico in totale 668 miliardi di titoli di Stato, secondo i dati Bankitalia e Ania, circa il 30 per cento del debito pubblico italiano. Non è poco.
Dopo le lettere alla Bce del presidente del Bundestag ed ex ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, preoccupato per la quantità di titoli pubblici e di crediti in sofferenza nei bilanci degli istituti di credito italiani, il direttore generale dell’Abi, l’Associazione bancaria, ha chiesto di poter spiegare la situazione ai colleghi tedeschi. In un incontro, avvenuto a Berlino il 12 luglio, Giovanni Sabatini ha ribadito che le sofferenze nette del sistema sono scese sotto i 50 miliardi. Il rapporto con gli impieghi totali è diminuito al 2,84 per cento. Era al 4,89 per cento a fine 2016. L’intervento pubblico in Italia è stato più contenuto che altrove.
Differenze
I contribuenti tedeschi hanno pagato, per esempio, sei volte di più degli italiani per salvare le proprie banche. I britannici dieci volte di più. La redditività del sistema bancario, come aveva già detto il presidente Antonio Patuelli all’assemblea generale dell’Abi, è tornata a livelli pre-crisi.
L’esposizione all’indebitamento sovrano è al 9,5 per cento degli attivi. Il debito pubblico, ormai in maggio a quota 2327,4 miliardi, ha una durata media di 7,4 anni. Buona. L’andamento dei depositi è positivo e rassicurante e segnala la preferenza per la liquidità. I depositi sono aumentati, secondo i dati Abi, di 88 miliardi nel giugno scorso rispetto a un anno prima.
Comunque il costo di un Credit default swap (Cds) per le banche italiane è semplicemente triplicato da gennaio.
Suscita infinite discussioni un altro disavanzo, ed è quello del cosiddetto sistema Target 2 che riflette, nella definizione che ne dà la Banca d’Italia, «la differenza tra i pagamenti ricevuti ed effettuati dagli istituti di credito di un Paese», regolati attraverso la Bce. È espressione della posizione debitoria o creditoria verso la Banca centrale europea. Il saldo negativo ha raggiunto per l’Italia in giugno il record negativo di 481 miliardi con un forte aumento, in linea con l’andamento dello spread nei primi giorni del mese al debutto del nuovo governo. L’ampiezza di questo squilibrio può essere spiegata non solo sul versante della bilancia dei pagamenti (il risultato di tutte le transazioni commerciali e finanziarie) ma anche, nel periodo del Quantitative easing, con gli acquisti di titoli della banca centrale per conto di Francoforte.
Lo ha detto anche Mario Draghi il 9 luglio scorso in un’audizione alla Commissione Affari economici del Parlamento europeo. In sintesi, rispondendo a una domanda, il presidente della Bce non ha negato la significativa dilatazione del saldo italiano, che deve comunque essere oggetto di attenzione. Guardando alla serie storica, però non è privo di precedenti e la fine del Qe dovrebbe portare a un suo relativo sgonfiamento.
È probabile altresì che essendo i titoli di Stato acquistati negli ultimi mesi pressoché solo da Bankitalia, la liquidità immessa nel sistema si sia riversata, in larga parte su strumenti finanziari esteri. Anche per la carenza di alternative domestiche, si pensi soltanto al limitato mercato delle obbligazioni societarie. Nessuna particolare anomalia, dunque.
Ma non si dimentica che, prima dell’avvio del Qe, il picco di 289 miliardi di euro nel saldo negativo del Target 2 venne toccato nell’agosto (mese terribile per la finanza e i mercati) del 2012, come ricorda sempre la Banca d’Italia «al culmine della crisi del debito sovrano che aveva determinato deflussi di capitali esteri dal mercato dei titoli di Stato italiani». Il 7 agosto verrà pubblicato il dato aggiornato di luglio.
Una vecchia storia
Sembra consolidarsi, invece, la tendenza in diversi gestori di patrimoni a trasferire all’estero la titolarità dei conti. Il fenomeno è per ora limitato e riguarda il mondo del risparmio gestito più professionale. Nell’area dell’euro soprattutto verso il Lussemburgo. Al di fuori dell’Unione monetaria con un ritorno in Svizzera.
Cambi di rotta non privi di costi supplementari. Secondo una ricerca Pwc, le banche lussemburghesi sono quelle che hanno un margini di guadagno tra i più elevati in Europa (seppur sceso nel 2016 a 89 punti base).
Per quanto riguarda la Svizzera, che a fine 2016, in base ai dati della locale associazione bancaria, gestiva patrimoni per 6 mila 650 miliardi di franchi, il 48 per cento di clienti stranieri, i costi del private banking incorporano già un rischio Paese per l’Italia. Peraltro una vecchia storia.