Li incontreremo il 15 marzo, in Piazza Affari. Un palcoscenico simbolico per mille ragioni. Più una, in questo caso: loro sono i campioni della crescita. Campioni sconosciuti, spesso. Ma, se l’Italia ha retto nei lunghi anni della Grande Crisi Globale, in buona parte è (anche) merito loro. Hanno investito, innovato, creato lavoro, aumentato la produzione e le vendite, guadagnato e di nuovo investito. Così, quando poi è arrivata la breve stagione della ripresa, sono stati i primi ad agganciarla. Non hanno intenzione di fermarsi ora. Certo: la recessione la vedono, tutt’intorno nel Paese; e i venti contrari che soffiano dalla Brexit, dalle guerre commerciali, dal rallentamento cinese li sentono, in giro per quel mondo che per loro è quasi mercato domestico. Eppure sono convinti che non smetteranno di crescere. A dispetto di tutto, e non perché qualsiasi imprenditore si dice «ottimista per definizione». Al contrario:i 600 Champions che L’Economia del Corriere della Sera ha prima selezionato, insieme a ItalyPost e sulla base di severissimi parametri applicati a sei anni di bilanci, e poi cercato per poterne raccontare le storie, sono poco, pochissimo «politici» e invece molto, molto concreti. Perciò, se dicono che nel 2019 il loro fatturato continuerà ad aumentare e che gli utili faranno altrettanto, è perché quella è la direzione indicata dagli ordini che hanno già in casa e dai contratti che stanno per firmare. Lo sviluppo sarà magari un po’ meno robusto, e forse non più a due cifre (prospettive quasi certa per chi lavora nell’automotive, o per i pochi tra quei 600 che rimangono ancora troppo legati al mercato italiano). Sarà comunque sviluppo. Ci aiuterà a sentire un po’ meno quella recessione che per ora è solo tecnica, ma nel secondo semestre chissà: potremmo uscirne, potrebbe peggiorare. La prima ipotesi li vedrà giocare un ruolo di primo piano. La seconda, non dipende da loro.
C’è un paradosso, in ognuna di queste storie. Li abbiamo chiamati Champions perché i loro bilanci mostrano (e sul lungo periodo) tassi record di crescita, di redditività, di solidità patrimoniale. Perché esportano, a volte anche oltre il 90% della loro produzione, e in quel che fanno sono considerati leader — quasi sempre di nicchia, ma non è meno complicato — di assoluta eccellenza. Più all’estero che in patria, però.
Il paradosso è qui. I 600 Top che L’Economia incontrerà domattina a Palazzo Mezzanotte, e ai quali ha dedicato il numero speciale che verrà presentato nella stessa occasione (sarà in edicola da domani, gratis, insieme al Corriere), sono uno spaccato della migliore imprenditoria italiana. Dalle loro fabbriche, cantine, laboratori escono gioielli della meccatronica che il mondo ci indivia, ottimi vini, tessuti per le grandi firme della moda, soluzioni ingegneristiche per (esempio) la prima auto interamente stampata in 3D, e naturalmente mobili di design, alimentari da gourmet, calzature super fashion. Le loro aziende sono piccole, è vero, al massimo medie: 20-120 milioni di fatturato quelle che troverete nella classifica delle Top 500, 120-500 milioni quelle della Top 100. Ciò non impedisce che oltre confine le considerino l’essenza del made in Italy, in qualunque settore. A noi, spesso, il nome e persino i brand di questi Campioni non dicono nulla, o molto poco.
Cercarli, raccontarli come abbiamo fatto nelle scorse settimane (e nelle prossime continueremo), incontrarli adesso in Piazza Affari perché siano loro a raccontarsi direttamente, ci è sembrato il modo migliore di festeggiare il secondo compleanno de L’Economia. Lo faremo nel corso di una mattinata che abbiamo intitolato «L’Italia genera futuro» (togliendo il punto di domanda che avevamo messo l’anno scorso, alla prima edizione: i Champions hanno dimostrato che la risposta è «sì»). Insieme al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, apriranno la giornata il padrone di casa, il numero uno di Borsa Italiana Raffaele Jerusalmi, e il rettore della Bocconi Gianmario Verona. Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Telecom Italia, concentrerà il discorso inaugurale su «La cultura della crescita». E poi, la conversazione di Daniele Manca, vicedirettore del Corriere, con Giampiero Maioli, responsabile di Crédit Agricole Italia; i contributi di Michele Parisatto (Kpmg), Paolo Quaini (Edison Energy Service), Walter Ruffinoni (Ntt Data Italia); la proclamazione del vincitore del premio «L’impresa è comunicazione», che sarà consegnato dal rettore della Iulm, Gianni Canova. A Urbano Cairo, presidente di Rcs Mediagroup, il compito di chiudere. E dare avvio al secondo viaggio-reportage de L’Economia nell’«Italia che genera futuro»: dieci tappe, fino a metà giugno, per incontrare i Champions direttamente nei territori che sono parte del loro successo.
*L’Economia, 14 marzo 2019